Sta tenendo banco, in questi giorni, il caso dell’omicidio di Giulia Tramontano, incinta di sette mesi del suo piccolo Thiago. Lunedì prossimo, infatti, è attesa la sentenza per Alessandro Impagnatiello, accusato del delitto. Proprio nell’ultimo periodo, in particolare la stampa sembra stia operando una reimpostazione della narrazione del caso. Sulla vicenda, avvenuta il 23 maggio 2023 a Senago, in provincia di Milano, la maggior parte dei media - anche quelli meno pro life - stanno infatti iniziando a menzionare in modo sempre più esplicito il contestuale omicidio del piccolo Thiago, che Giulia portava in grembo. Del resto, lo stesso Comune di Senago ha voluto intitolare un parco della cittadina nell’hinterland milanese alle due vittime innocenti.
Interruzione di gravidanza o duplice omicidio?
Non è per niente scontato – anzi, tutt’altro – che tale attenzione venga riportata anche nella sentenza finale. Tra i reati contestati dal pm a Impagnatiello, infatti, non vi è quello di “duplice omicidio” (che in effetti ancora non esiste per la legge italiana in caso di uccisione di una donna incinta), ma vi è quello di “interruzione di gravidanza non consensuale”. A prevederlo è il Codice Penale che, all’articolo 593-ter, stabilisce: «Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna». Uno dei legali dell’imputato ha effettivamente affermato che l’intenzione di Impagnatiello non sarebbe stata quella uccidere la compagna, ma di provocarle un aborto. Nell’ordinamento italiano, interrompere una gravidanza in maniera non consensuale è sempre e comunque un reato. Il discrimine è innanzitutto nella distinzione giuspenalistica tra interruzione di gravidanza non consensuale e omicidio conclamato (di Giulia), ma noi sappiamo bene che quella nel grembo materno è una vita a tutti gli effetti fin dal momento del concepimento.
La lacuna legislativa sui diritti del concepito
Per noi, quindi, oltre alla crudeltà dell’uccisione di Giulia, c’è anche quella per l’omicidio di Thiago che non può essere “ridotto” – passateci il termine – a interruzione di gravidanza non volontaria. Non perché questo reato non sia già di per sé grave, ma perché aver ucciso una seconda persona, un secondo essere umano, è ancora più grave. Ecco perché rattrista il fatto che la presenza di un bimbo nel grembo di Giulia venga riconosciuta, sì, dal legislatore, ma non in quanto essere umano e cittadino titolare di diritti assoluti. È proprio questo il nucleo della questione in cui vale la pena inserire un dibattito. Chi interrompe forzatamente una gravidanza, arreca un danno soltanto alla donna o anche al figlio che porta in grembo? È illecito interrompere la gravidanza soltanto senza il consenso della gestante o tale illiceità riguarda qualsiasi gravidanza? Se è vero che la maggior parte della stampa sta menzionando il nome del nascituro, implicitamente sembra quasi voler attribuire a Thiago lo status di persona a tutto tondo e non di “potenziale essere umano”. Assodato che Thiago era un essere umano, se anche il legislatore prendesse atto di questa sua natura, si aprirebbe la strada – come si diceva in apertura - per una nuova fattispecie di reato: quello del duplice omicidio della madre e del figlio che porta in grembo, ma anche per una nuova concezione del concepito: un soggetto di diritto con una sua umanità intrinseca e da tutelare, fin da subito. Appunto fin dall’istante del concepimento.