06/02/2016

Donna, dove sei? La riduzione delle persone a concetti

Riceviamo e pubblichiamo questa interessante riflessione sulla scomparsa della figura della donna nel mondo moderno, che si sta affermando sempre di più attraverso strategie apparentemente politically correct...

Esiste un oltre a quanto stiamo assistendo – a questo passo verso il futuro del quale intravediamo le orme sempre più definite – che si potrebbe definire: la scomparsa della donna.

La via attraverso cui questo progetto avanza ha un nome rassicurante, apparentemente incontestabile, lotta per la parità dei diritti.

L’idea di umanità sottesa al concetto di parità ci vuole tutti in lotta per affermare noi stessi, per realizzarci sul lavoro, nelle relazioni affettive... Quando questa realizzazione coincida con il successo, la fama e il denaro tanto meglio, a questi “valori” è lecito sacrificare persino un po’ di salute.

Nell’apparire e nel possedere, semplicemente siamo; per questo, il possesso di qualche cosa di vivo, come un bambino, risulta quasi il vertice di ogni diritto.

Non ho detto figlio, ho detto bambino, il figlio, ha padre e madre certi; l’ideologia che plasma il mondo dei desideri di oggi, vuol rendere disponibile il bambino, come fosse una bambola. Una bambola da amare. E siccome tutti provano emozioni e sentimenti, tutti devono “poter amare” un bambino. In tal modo ogni aggregato umano, ogni singolo, potrà dire; io amo il mio bambino. Perché tutto questo possa essere accettato è necessario relativizzare le differenze sessuali riducendole ad un problema di appendici corporee, distinte dall’essere personale; il corpo e il sesso diventano principalmente strumenti di piacere.

Raggiunto questo obiettivo, resta un altro problema: la donna ha pur sempre un apparato riproduttivo che la “ inchioda alla propria natura”. Detto, fatto. Separando il sesso dalla dimensione di tutta la persona, cioè spersonalizzandolo, rendendo sicuro il piacere attraverso la planetaria diffusione degli anticoncezionali, la donna in un sol colpo è stata liberata dal “pericolo” (sic!) della gravidanza.

Simbolicamente questo è stato il primo colpo inferto al concetto di maternità. Ma non bastava, il desiderio di essere madre continuava ad esistere, e con esso, il rischio di veder spezzati percorsi professionali altrimenti prerogativa dei soli maschi. Stare fermi nove mesi, in casi come questi è un grave limite. La natura, doveva insomma essere superata, vinta; l’utero in affitto, per ora, è l’ultimo confine di questo mostruoso progresso.

Ma ancora non basta. Tra qualche anno ci sentiremo dire che la gestazione è un limite per tutte le donne, feconde o infeconde, lesbiche o etero; certe femministe radicali, lo dicono da tempo. Le più ardite fra queste donne potrebbero già adesso ricorrere ad un utero in affitto, molti paesi lo consentono. Ma non tarderà la possibilità di utilizzare degli uteri artificiali come profetizzato da Aldous Huxley nel romanzo, Il mondo nuovo.

Ecco, quel mondo è qui, bussa alla porta di casa. Diranno che semplifica la vita, diranno che corregge i “rischi e i limiti della natura”. Stuoli di pseudo artisti, improvvisati giullari, politici al guinzaglio, padroni di mass media e multinazionali intoneranno i canti che la massa lacrimosa dei distratti farà propri. Dovremo difendere la donna dalla più grande violenza, la perdita di se stessa e del figlio. Questa è la violenza suprema contro le donne: costringerle a negare se stesse, sottraendo loro la dimensione materna che da sempre è germinata lungo l’esclusivo viaggio di un figlio dal concepimento, alla luce del mondo.

La maternità ha forgiato – o meglio, ha portato a compimento – le potenzialità del corpo femminile, dando forma “allo spirito della donna”. Lungi da me l’idea di ridurre la donna al solo ruolo materno, ma questo modo di essere è comunque essenziale nel definire il femminile. Oggi, invece, la donna è ridotta ad un concetto e questo perché le idee, i concetti appunto, altro non sarebbero che il prodotto delle culture.

Il relativismo assoluto presenta il conto. Soltanto che se dovessimo rigorosamente applicare queste idee, dovremmo ammettere tutto; persino riconoscere che la poligamia, l’infanticidio, la schiavitù, sono espressioni di culture diverse, perché la verità non esiste. Di cedimento in cedimento i presunti diritti cancellano ogni tutela del debole, perché sono i più potenti, da sempre, a decidere la gerarchia dei valori.

Marco Luscia

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