22/04/2024 di Francesca Romana Poleggi

Donne: il diritto alla salute passa dal diritto alla verità

Nella Giornata nazionale della salute della donna, che si celebra come ogni anno il 22 aprile, rivolgo un appello a giornalisti, opinionisti e soprattutto agli operatori sanitari: le donne meritano la verità su ciò che mette in pericolo la loro salute sessuale e riproduttiva. Senza verità non c’è libertà; senza verità e consapevolezza, chi sembra conceda diritti sta in realtà manipolando le persone e i diritti stessi sono mere finzioni. 

Le donne meritano la verità sulla persistente e continua diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili: per invertire la tendenza gli anticoncezionali non bastano. Serve un’educazione a una sessualità responsabile e non promiscua. Oso dire casta, anche se so che la castità e la continenza sono oggi considerate roba “medievale”, mentre sono una forma di rispetto per sé e per gli altri.

Le donne meritano la verità sulla natura dei rapporti sessuali che sono di per se stessi orientati alla procreazione. Da almeno 50 anni si predica la “liberazione” delle donne da questo dato di fatto naturale. Siccome il sesso, si ripete come un mantra, serve a scopo “ricreativo”, la contraccezione e l’aborto servono a “liberare” le donne dal “pericolo” di una gravidanza indesiderata. 

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Da qui a considerare la maternità come una disgrazia il passo è stato breve

Pochi sanno, però, che già le prime femministe - per esempio la prima donna medico americana, Elisabeth Blackwell (1821 - 1910), e tutte le sue “suffragette” contemporanee - ritenevano l’aborto un male per la donna e un “vantaggio” per l’uomo, che gli consente di poter sfruttare le donne per piacere sessuale con le spalle coperte: “tanto c’è sempre l’aborto…”. 

Contraccezione e legalizzazione dell’aborto, infatti, liberano innanzitutto gli uomini dalla responsabilità genitoriale scaricandola totalmente sulle spalle delle donne. Non mi stancherò mai di ripetere che la Legge 194 del 1978 è la legge più maschilista e sessista degli ultimi decenni

Lo sapeva persino Betty Friedan (1921 - 2006), leader storica del movimento femminista americano, che si “convertì” all’abortismo solo dopo che il dottor Bernard Nathanson - mentendo e sapendo di mentire - la convinse che “milioni di donne” morivano di aborto clandestino. Lui stesso più tardi confessò che i dati presentati alla Friedan erano stati inventati di sana pianta a tavolino. 

Quindi, contraccezione e aborto sono nati come strumenti del cosiddetto “patriarcato” per sfruttare a piacimento il corpo delle donne. E non è solo un problema culturale. 

Da almeno 50 anni viene negata alle donne la verità sugli effetti collaterali e gli effetti avversi che la contraccezione e l’aborto hanno sulla loro salute. 

Pro Vita & Famiglia da anni promuove campagne di informazione e di formazione per la salute sessuale e riproduttiva delle donne. Tra le nostre pubblicazioni, ricordo l’imperdibile libro di Lorenza Perfori, riveduto e validato dal professor Giuseppe Noia, Aborto: dalla parte delle donne. Da ultimo, la nostra Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia del prossimo maggio, Pillole amare, conterrà un approfondimento dedicato proprio agli effetti collaterali e avversi della contraccezione ormonale. 

Perché le donne addirittura muoiono per la pillola e per l’aborto

Le Relazioni ministeriali sulla Legge 194 dicono che il numero di «morti la cui causa è in qualche maniera collegabile all’IVG, da quando è in vigore la legge 194, è molto basso»: vogliamo accontentarci di questo dato? Che vuol dire “molto basso”? Si tratta di donne morte. Per me le donne contano. Contano tutte e ciascuna. Ma evidentemente qui si tratta di “femminicidi” che non interessano a nessuno, perché nessuno ne parla. 

Inoltre, secondo i dati dell’OMS, a parità di sviluppo del sistema sanitario, la più bassa mortalità materna, molto più bassa che nei Paesi dove l’aborto legale è libero e senza limiti come Stati Uniti e Canada, è della Polonia dove la legge sull’aborto è molto restrittiva. E questo non è l’unico elemento che collega in modo diretto l’aborto legale alla mortalità materna. Altrimenti non si spiega perché l’Istituto superiore di sanità si rifiuta di fornire ai ricercatori i dati delle donne morte post aborto volontario.

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Tutti si riempiono la bocca di “consenso informato”: dov’è il diritto al consenso informato delle donne che chiedono contraccezione o aborto se si nega loro la verità sui rischi che comportano? Alcuni rispondono che si tratta di rischi “minimi”: a maggior ragione, allora, perché non spiegarli in modo veritiero, completo e corretto? Il Ministero, nelle lacunose Relazioni annuali sulla legge 194, riporta solo le complicanze fisiche immediate dell'aborto (quelle psichiche e quelle fisiche non immediate - placenta previa, successivi parti prematuri, sterilità, cancro al seno - sono del tutto ignorate). 

Si riportano solo le complicanze rilevate durante il ricovero. Anche quelle rivelatesi dopo il ricovero non sono registrate. E comunque, se anche i numeri in termini percentuali apparissero trascurabili, in termini assoluti abbiamo ogni anno centinaia di donne che sono state curate per emorragie, infezioni e «altro» (“altre” problematiche la cui gravità non è dato conoscere). Perché ignorare sistematicamente la gran mole di letteratura scientifica che è stata pubblicata in materia (con molta fatica, vista la censura sistematicamente operata sulle riviste specializzate sponsorizzate dalle industrie farmaceutiche che forniscono contraccezione e aborto…)? Da ultimo è stato pubblicato un lavoro scientifico che collega l’aborto a problemi di salute cardiovascolare: chi ne parla?  

Nessuno spiega alle madri che chiedono di abortire che ci sono alte probabilità che nel tempo sviluppino un tremendo rimpianto. Anzi, si promuove la negazione del lutto, causa di devastanti conseguenze psichiche quando quella donna si ritroverà con gli stessi problemi socio-economici che aveva prima dell’aborto e in più scoprirà di essere madre di un bambino morto. 

Le prove provate della perniciosità della sindrome post-abortiva sono sistematicamente ignorate e almeno dal settembre 2011 chi lo fa si macchia di una colpa davvero grave: in quella data Priscilla Coleman ha pubblicato sul British Journal of Psychiatry una metanalisi degli studi fatti sino ad allora da cui risulta che le donne che hanno subìto un aborto sperimentano un aumento dell'81% del rischio di problemi di salute mentale. D’altro canto, quasi il 10% dell'incidenza di problemi di salute mentale femminile è stato dimostrato essere dovuto all'aborto. 

Oggi, nel 2024, in occasione della Giornata nazionale della Salute delle Donne, sarà giunta l’ora di squarciare questa pesante coltre di omertà? 

 

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