In questi giorni solo pochissimi mezzi di comunicazione (tra questi l’Avvenire) hanno dato spazio adeguato ad una notizia che interpella la nostra coscienza di cristiani e di cittadini. Una risoluzione di recente approvazione da parte del Consiglio Onu per i diritti umani, dal titolo: “Mortalità e morbilità materna prevenibile e i diritti umani” viene ora ad offrire una sostanziale legittimazione all’aborto quale nuovo diritto umano, con tutte le conseguenze che una simile teorizzazione verrebbe a produrre, nel giro di una manciata di anni, nell’ambito giuridico, culturale e pratico in tutti i paesi del mondo.
Fare dell’aborto non più una sorta di “extrema ratio”, ma addirittura un “diritto umano” da promuovere, significa equiparare qualsivoglia limitazione del medesimo ad un abuso inaccettabile, al pari della tortura o delle mutilazioni femminili… Era questo lo storico obiettivo delle lobby abortiste più radicali, ma mai, finora, si era arrivati ad una legittimazione di tale autorevolezza. Ora è addirittura l’ONU che manifesta l’intenzione di includere l’aborto “garantito e sicuro” nel novero di quelle “buone pratiche” che implicano degli “obblighi di diritti umani”.
Le linee guida, varate a luglio dall’Alto Commissariato ONU per i diritti umani, fatte proprie dal Consiglio, insistono soprattutto sull’ampliamento di quei “servizi di salute sessuale e riproduttiva” che nel linguaggio burocratico dei documenti internazionali corrispondono alla promozione di un sempre più generalizzato accesso all’interruzione volontaria della gravidanza come pure alla cosiddetta contraccezione d’emergenza (aborto farmacologico). Non una parola sulla dignità umana del concepito e sulla protezione del suo diritto a vivere.
Sono sicuro che non sfuggano ad alcuno alcune le possibili conseguenze di quanto si viene ora a delineare in un ambito tanto autorevole quanto influente. Noi ci attendiamo quanto segue:
1) un incontrastato aumento dei fondi pubblici (denaro dei contribuenti) destinati dai governi a sostenere quelle organizzazioni internazionali di vario tipo e natura da tempo impegnate a favore della diffusione dell’aborto nel mondo;
2) un aumento delle pressioni esercitate sui paesi poveri perché introducano e tutelino l’aborto come un diritto, e ciò al solo fine di non essere esclusi (a motivo di una presunta violazione dei diritti umani) dai vitali programmi di aiuto internazionale;
3) la promozione dell’aborto nei programmi di educazione all’affettività o alla cittadinanza che si vanno sempre più diffondendo nelle scuole di vario ordine e grado in molti paesi del mondo (lo stesso dicasi per i percorsi universitari, in particolare nel campo degli studi medici e giuridici);
4) la promozione di impedimenti legali al diritto di “obiezione di coscienza” dei sanitari, in quanto la mancata collaborazione a procedure abortive sarebbe ora giuridicamente assimilabile ad un comportamento deontologicamente e giuridicamente contrario ai diritti umani.
5) una sostanziale impossibilità di un qualsivoglia dibattito culturale nel merito, dato che la posizione cosiddetta pro-life sarebbe idealmente squalificata e giuridicamente reprensibile tanto quanto (solo per fare un esempio) la posizione negazionista riguardo l’olocausto.
Purtroppo quanto detto accade con il colpevole avallo del nostro paese. Al Consiglio per i diritti umani dell’ONU partecipa infatti una delegazione italiana che dipende direttamente dal Ministero degli Affari Esteri, delegazione che non si è in alcun modo opposta alla risoluzione proposta nel Consiglio (come ha fatto la delegazione maltese) votando a favore assieme alle delegazioni di altri paesi della UE. A questo proposito colpisce la forte e chiara denuncia di Mons. Tommasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, che in un ‘intervista ha affermato: “le strutture delle Nazioni Unite sono sotto forte pressione da parte di molti governi occidentali per promuovere strategie di controllo della popolazione”.
Non a caso, dunque, le uniche significative resistenze all’approvazione del suddetto documento si sono registrate da parte di paesi islamici e paesi latino-americani.
Per tutto questo desideriamo rivolgere a tutti voi il seguente appello.
– A coloro che si impegnano nel lavoro educativo a favore degli adulti e dei giovani della nostra diocesi, chiediamo di dedicare spazi significativi, nell’ambito dei diversi cammini formativi, per un approfondimento ed una presa di coscienza non occasionale in merito a questi temi e a queste sfide.
– A coloro che sono impegnati nelle realtà sociali e politiche, chiediamo di dare maggior rilievo pubblico alle suddette questioni affinché non siano emarginate nel dibattito culturale e politico e siano comunque al centro dell’attenzione di quei laici cristiani cui spetta di operare “trattando le cose temporali ed ordinandole secondo Dio” (Lumen Gentium).
– A tutti rinnoviamo l’invito a farvi promotori presso familiari, amici ed associati della petizione internazionale al Parlamento europeo UNO DI NOI, petizione che abbiamo presentato e che potrebbe acquisire ora, proprio a causa di questo mutato contesto, anche il carattere di una ferma e motivata opposizione a questa ulteriore deriva.
Stefano