La battaglia contro l’aborto sta procedendo spedita negli Stati Uniti, soprattutto in vista del prossimo giugno, quando la Corte Suprema deciderà sulla legittimità della legge sull’aborto in Mississippi, dove l’interruzione di gravidanza è vietata dopo le prime 15 settimane di gestazione.
Nel frattempo molti Stati si sono dati da fare in alcuni casi per estendere, in altri per limitare, l’accesso all’aborto. Le leggi a favore della vita vietano l’interruzione di gravidanza a partire dalle sei settimane di gestazione e blindano anche l’accesso alla pillola abortiva. Le normative che, invece, favoriscono l'accesso all'aborto cercano di attuare misure tali da trasformarlo in un diritto, facilitando ad esempio l’accesso ai servizi delle cliniche abortiste.
Tra gli stati che hanno approvato misure a favore della vita c’è sicuramente il Texas, dove sono vietati gli aborti dopo sei settimane, tranne che per motivi di salute, così come la Florida dove il governatore Ron De Santis ha firmato il disegno di legge che vieta gli aborti dopo 15 settimane. Sulla stessa linea prolife si collocano l’Oklahoma, il West Virginia e il Kentucky, dove però il divieto d’aborto decade nel momento in cui sia in pericolo la vita della mamma. Più radicali l’Arizona e il Wyoming dove non sono previsti eccezioni al divieto di aborto in nessun caso, nemmeno in casi di stupro e incesto, che invece costituiscono motivi possibili per abortire nell’Idaho.
Infine il Sud Dakota, che si colloca a metà strada in merito alle politiche pro life, in quanto dopo aver combattuto, ma fallito, per introdurre limiti e restrizioni sull’aborto è riuscito tuttavia a ridurre la possibilità di accesso alla pillola abortiva. Insomma, gli Stati Uniti si riscoprono più pro life, ma tristemente non si può dire lo stesso per Italia e per gran parte dell’Europa.