L'Assemblea Nazionale dell'Ecuador, la scorsa settimana, non è riuscita fortunatamente a superare il veto presidenziale contro la legge sulla liberalizzazione dell’aborto che avrebbe vietato anche l’obiezione di coscienza di medici e ospedali religiosi.
Dopo che il presidente Guillermo Lasso aveva parzialmente posto il veto sulla legge sull'aborto, approvata dalla legislatura unicamerale del paese sudamericano, l'Assemblea Nazionale aveva tempo fino al Venerdì Santo per annullare il veto. La mozione per superare il veto presidenziale ha ricevuto solo 17 voti, molto al di sotto della maggioranza richiesta dei 2/3 per un annullamento del veto del presidente, che quindi rimane in vigore.
Valerie Huber, l'amministratore delegato dell' “Istituto per la salute delle donne” che ha servito come rappresentante speciale degli Stati Uniti per la salute globale delle donne durante l'amministrazione Trump, ha detto al The Christian Post che il movimento pro-vita "ha vinto" la battaglia in Ecuador. "Più di 20 volte nel testo iniziale l'aborto era definito come un diritto umano e veniva rimosso ogni protezione alla obiezione di coscienza".
La Huber ha anche elogiato il Presidente Lasso per aver eliminato "qualsiasi affermazione che ci sia un diritto internazionale o che l'aborto sia un diritto umano", aggiungendo che "ha affrontato praticamente tutte le preoccupazioni che avevamo e sottolineato l’incostituzionalità del testo”. L’articolo 45 della Costituzione, infatti, sancisce che il governo "deve riconoscere e garantire la vita, compresa la cura e la protezione, dal momento del concepimento e sino alla morte naturale". Le leggi sulla vita in Ecuador sono osteggiate da gruppi internazionali per i diritti all'aborto come Human Rights Watch, che sostiene che la criminalizzazione dell'aborto nel paese "mina la capacità delle donne e delle ragazze di accedere a servizi essenziali di salute riproduttiva".