Quanto si parla di educazione, si parla di uomo e donna. In questo articolo vengono presentati alcuni dei principali studi a supporto di questa tesi.
Educazione – Il cantico della differenza
Molte delle coppie che ricorrono alla pratica dell’utero in affitto sono coppie omosessuali maschili, le quali con tutta evidenza non sono in grado di generare figli e si illudono di poterlo fare con il supporto della tecnica e l’acquisto di un gamete femminile unito all’affitto di un utero. I bambini che vengono affidati a queste coppie, oltre a subire il fatto di essere stati fabbricati e venduti e di essere stati separati premeditatamente dalla madre, vengono privati scientemente della presenza materna.
La stessa cosa, mutatis mutandis, avviene quando una coppia lesbica ottiene un figlio attraverso la fecondazione artificiale di una delle due componenti. Una delle giustificazioni più usate contro le critiche sollevate a questa imposizione, diffusa ormai un po’ ovunque, è l’affermazione che, per essere una famiglia e affinché un bambino possa crescere armoniosamente, basta che ci sia l’amore, indipendentemente dal fatto che la coppia genitoriale sia composta da un uomo e da una donna, oppure da individui dello stesso sesso.
Invece non è così. L’amore è una componente fondamentale nei rapporti tra le persone e, ovviamente lo è per la crescita di un individuo, ma purtroppo non è sufficiente. L’utero in affitto priva il bambino, nelle primissime fasi della sua esistenza, di quel dualismo essenziale alla sua crescita derivato dalle figure paterna e materna.
Perché un bambino o un adolescente possano formare la loro psiche e riuscire a interiorizzare la loro identità devono, infatti, poter ricevere quel tipo di cura e di affetto che si crea nella continuità della generazione che è da un uomo e da una donna; occorre, quindi, che l’amore sia differenziato.
Questo vuol dire che l’amore in quanto tale è condizione solo marginale nella crescita armoniosa del bambino. Scriveva Lacroix in “In principio la differenza” (Op. Cit. p. 71): «Amare non consiste soltanto nel provare affetto ma piuttosto sostenere attivamente le condizioni oggettive della crescita [...] che implicano spazi, funzione e differenza. La famiglia non si limita a costruire relazioni affettive, ma è una struttura. E le sue differenze primordiali, intorno a cui si articolano sempre le strutture elementari dell’essere genitori, sono ravvisabili nella differenza dei sessi e nella differenza fra generazioni».
L’importanza della differenziazione sessuale nella formazione si può dedurre dall’etimologia dello stesso termine ‘educazione’. Il lemma indica l’atto e l’effetto del verbo ‘educare’, che significa “alimentare, allevare, nutrire, curare e istruire”, a sua volta derivato dal latino ‘educere’. Educere (ex ducere) si può tradurre come «estrarre, far uscire, condurre al largo, trarre alla luce, generare, allevare, innalzare».
La duplicità e la complementarietà di significati del termine latino è evidente e permette di assimilare immediatamente queste diverse sfumature all’aspetto più materno e femminile dell’educare, come l’accoglienza e il nutrimento, e a quello più paterno e maschile del far uscire, condurre al largo e innalzare: caratteristiche comportamentali differenti nell’approccio ai figli, che sono presenti fin da subito nella storia familiare ed educativa di un individuo.
Per meglio comprenderne la compenetrazione, analizzeremo i due ruoli seguendo una naturale cronologia, partendo quindi dal rapporto madre-bambino fino dalle prime fasi di vita intrauterina.
Importanti studiosi come Freud, padre della psicoanalisi, ma anche Mahler, Bowlby e Whinnicott, solo per citarne alcuni, sottolineano l’importanza dei rapporto madre-figlio nei primissimi anni di vita di quest’ultimo. Anche la scienza supporta queste teorie, dimostrando l’interazione madre-bambino già nel periodo prenatale.
Dal momento stesso della fecondazione, infatti, comincia il “dialogo chimico” tra il bambino (anche se composto ancora da poche cellule) e l’organismo materno (quando la donna probabilmente non sa ancora di essere incinta).
Si determinano, quindi, lo sviluppo e la crescita degli organi del bambino e dei suoi apparati sensoriali. Il primo sistema ad attivarsi è quello della sensibilità cutanea, che sarà interamente formato intorno alle trentadue settimane; poi ci sono il sistema vestibolare, quello uditivo che è funzionale già al settimo mese e in ultimo quello visivo, anche se già alla settima settimana il nervo ottico e le cellule retiniche sono presenti. Gli organi gustativi sono invece già funzionali alla quattordicesima settimana: ecco perché, quando nasce, il bambino ha già delle preferenze di gusto piuttosto nette.
In base a questi dati è possibile facilmente intuire come il bimbo sia continuamente stimolato da suoni e rumori, luci, voci e odori, provenienti dal corpo della madre attraverso il liquido amniotico, oppure dall’esterno. Il piccolo, infatti, riconosce le voci della mamma e del papà, distingue anche diverse musiche e dà risposte motorie differenti in base a luci intense o deboli e a sapori dolci e salati. L’interazione con i genitori, quindi, avviene fin dai primi momenti della gravidanza. In particolar modo, il piccolo partecipa a tutte le esperienze della mamma, ricevendo attraverso la placenta e l’alterazione del battito cardiaco anche informazioni di natura emotiva e psichica. In virtù di questo, la personalità del bambino inizia a formarsi già nei primi mesi dal suo concepimento. Assistiamo quindi a una continuità fra le fasi di sviluppo prenatale e perinatale e quelle successive.
È importante, a questo punto, sottolineare come sia fondamentale, per il nascituro, fin dalla vita intrauterina, ricevere attenzioni e stimoli da entrambi i genitori, i quali – parlandogli amorevolmente e coccolandolo – lo facciano sentire accolto, amato e desiderato ancor prima della sua nascita.
Purtroppo la vulgata comune rivendica il diritto alla compravendita del bambino in quanto il legame genetico è assicurato dai gameti di uno dei genitori, trascurando o ritenendo comunque trascurabile, il legame biologico ed emotivo che si crea nel ventre della madre surrogante. Dopo la nascita, e in continuità con le esperienze prenatali, il bambino arriverà ad avere una identità strutturata già nei primi tre anni di vita.
La psicoanalista Margaret Mahler (1897-1985) spiega infatti come la strutturazione dell’identità avvenga attraverso un processo di individuazione/separazione che si compie nella relazione ‘simbiotica’ con la madre. La Mahler usa il termine ‘simbiosi’ mutuandolo dalla biologia, proprio per descrivere lo stretto legame iniziale di dipendenza reciproca fra madre e bambino, che per il piccolo si esprime con l’esplorazione del corpo della mamma anche attraverso il tatto e l’olfatto, mentre per la madre è un esperienza legata strettamente alle parti più interne e viscerali di sé. Fino ai tre anni di vita del bambino il padre, anche se non fa parte dell’unione simbiotica della mamma col suo bimbo, è comunque un importante ‘oggetto d’amore’. Egli essendo ‘fuori’ rispetto al corpo del figlio, ha il compito di farlo uscire da questo legame forte con la madre.
Se, quindi, nei primi mesi di vita, durante l’allattamento, il padre resta nell’ombra, nel periodo successivo diventa un nuovo punto di riferimento per il figlio e un polo di attrazione per la figlia: in questa dinamica il bambino matura il senso della differenza.
Conseguentemente, se la figura paterna venisse a mancare per qualche ragione, il figlio potrebbe rimanere ‘indifferenziato’, perché non riuscirebbe a staccarsi dalla madre. Madre e padre rivestono quindi due ruoli differenti; differenza che, come precedentemente sottolineato, è fondamentale per l’educazione, in quanto essa è basata sull’identificazione dei figli con i genitori. Identificazione che è fondamentale per lo sviluppo del’’identità, infatti anche etimologicamente i due termini si rifanno alla stessa radice. Il bambino si fa ‘identico’ (si identifica) al genitore dello stesso sesso per costruire la sua identità, che non può essere completamente assimilata se non viene confermata dal genitore del sesso opposto.
La mamma, dando al figlio la propria approvazione, lo aiuta a radicare la propria identità maschile; mentre le attenzioni che il padre dà alla figlia le danno autostima, fondando la sua femminilità e rivelando le sue caratteristiche.
Da tutto questo si evince come le differenze di ruolo tra padre e madre siano importantissime nella crescita psicologica dei figli. La presenza del padre e della madre non solo hanno un peso diverso e alterno nelle varie fasi di crescita, ma i due genitori hanno anche modalità e competenze differenti: mamma e papà non giocano o si prendono cura del bimbo nello stesso modo; il papà prende maggiormente su di sé, rispetto alla madre, il ruolo di stabilire regole e limiti; il sapere legato alla vita sessuale nell’età puberale è legata al sesso del genitore: il papà ne parla al figlio, la mamma alla figlia; papà e mamma si rapportano differentemente con i figli a seconda che siano bambini o bambine nel gioco e nelle varie attività quotidiane, e così via.
Da quanto riportato finora si evince che questo non può avvenire con le stesse modalità quando la coppia è formata da individui dello stesso sesso, dal momento che vengono a mancare, nella relazione con i figli, quei contribuiti insostituibili e peculiari che derivano da quanto differenzia l’uomo dalla donna e che arricchisce il loro rapporto in modo unico, rendendoli capaci di tessere quel “cantico della differenza” che diventa l’ambiente ideale per la crescita armoniosa ed equilibrata di un nuovo essere umano.
Chiara Rastello
Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Gennaio 2016, pp. 28-30
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto