“Facciamo una cosa rivoluzionaria, inseriamo l’Educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, obbligatoria anche per i più piccoli, perché è da lì che parte tutto”.
Non si sa se sia più uno slogan o un grido di guerra, quello lanciato dal Luciana Littizzetto, lo scorso 2 novembre, su Twitter. Certo è che l’obbligo dell’educazione sessuale nelle scuole è ormai diventato una vera e propria fissa, soprattutto da parte di chi sostiene una certa visione della sessualità che si vorrebbe, di fatto, imporre.
Dietro il paravento di corsi contro il bullismo o corsi che promuovono la parità di genere e la rimozione degli stereotipi, ci sono poi in realtà propositi per promuovere gender e pansessualismo che, come un’appendice, dal gender deriva o comunque per promuovere una visione della sessualità univoca che non corrisponde sempre a quella di altre fedi o altri modi di pensare.
Un problema sentito anche all’estero, se pensiamo che in un articolo comparso sul giornale britannico Church Times, si affronta parallelamente la questione dell’obbligatorietà dell’insegnamento della Religione nelle scuole e quello dell’obbligatorietà dei corsi di educazione sessuale, arrivando ad affermare che bisognerebbe renderli obbligatori entrambi, formulandoli in modo tale da rispettare tutti i punti di vista e le sensibilità.
Una proposta su cui c’è da dissentire in quanto è davvero impossibile, in una società dominata dal relativismo etico, proporre, proprio in campo morale, un modello della sessualità e anche una visione religiosa che si sposino perfettamente con le variegate e molteplici sensibilità presenti all’interno del contesto classe.
Piuttosto sarebbe meglio che, come oggi in Italia, l’insegnamento della religione cattolica non è reso più obbligatorio, allo stesso modo non lo sia quello dell’educazione sessuale, per il quale viene spesso dimenticato, per non dire omesso, uno degli attori fondamentali di questo processo “educativo”, che è la famiglia che ha tutto il diritto (e il dovere), non solo di dissentire da modelli etici, legati ad una certa concezione della sessualità, distanti dalla propria visione della realtà della vita, ma anche di non subire una “invasione di campo” nel ruolo educativo che gli spetta prioritariamente sui figli.