Che ne sarà alla fine del mezzo milione di euro che il Parlamento, approvando l’ultima manovra di Bilancio, ha stanziato per l’educazione sessuale nelle scuole? Si tratta di una domanda per nulla polemica, anzi più che lecita dato che si tratta di soldi pubblici e, soprattutto, di un’iniziativa – se verrà realizzata – ideologicamente a dir poco insidiosa. Ma andiamo con ordine, ripartendo dai fatti.
L’emendamento Magi
Lo scorso dicembre ha avuto luogo l’approvazione, in seno alla Commissione Bilancio alla Camera, di un emendamento alla manovra presentato dal deputato di +Europa Riccardo Magi che stanzia 500.000 euro per progetti di educazione sessuale e affettiva. Immediata, dopo quel passaggio, era stata la reazione di Pro Vita & Famiglia che, oltre a promuovere una apposita petizione di protesta, con il suo portavoce, Jacopo Coghe, aveva denunciato «un cedimento gravissimo della maggioranza di centrodestra all’isteria abortista dei collettivi trans-femministi e alle teorie terrapiattiste sul genere fluido del movimento Lgbtq». «Vorrà dire che le famiglie faranno le barricate in ogni scuola», aveva altresì rincarato Coghe, «per impedire ad attivisti politici travestiti da esperti del nulla di andare a raccontare in classe che uccidere un bimbo nel grembo è un ‘diritto riproduttivo’ o che si può nascere nel corpo sbagliato e risolvere tutto con ormoni e chirurgia distruttiva».
La “toppa” del Governo
Parole dure ma giustificate, a fronte del pericolo di indottrinamento nelle scuole costituisce; ma soprattutto parole che un loro effetto sembrano averlo sortito quasi subito. In effetti, a stretto giro la Camera ha approvato un Ordine del giorno che pare finalizzato, per così dire, a correggere il tiro rispetto all’emendamento Magi. Quel documento infatti impegna il Governo, citiamo testualmente, a far sì che «l’incremento di 500 mila euro per Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità» sia utilizzato per «fornire moduli informativi rivolti agli insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, per aggiornare sui contenuti per interventi educativi e corsi di informazione e prevenzione, prioritariamente riguardo alle tematiche della fertilità maschile e femminile, con particolare riferimento all’ambito della prevenzione dell’infertilità».
Ora, considerando sia il prioritario richiamo non agli studenti bensì «agli insegnanti», sia il richiamo «all’ambito della prevenzione dell’infertilità», si direbbe proprio che la maggioranza di Governo – approvando il citato Ordine del giorno, provvedimento che più specificatamente indirizza l’impiego di fondi stanziati delle norme e dagli emendamenti che le introducono – abbia inteso porre un freno all’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole che, di certo, non dispiacerebbe al deputato di +Europa Riccardo Magi e a tanti altri che ne condividono le medesime posizioni. Va in questa direzione anche quanto detto lo scorso 8 gennaio, in Aula, dal ministro per i rapporti con il Parlamento del governo Meloni, Luca Ciriani, il quale ha confermato questa linea governativa.
Una decisione, quella governativa, che ha tutto il sapore di una toppa, dopo l’approvazione dell’emendamento radicale, e che non consente di abbassare la guardia. Per questo è lecito aspettarsi dal Governo non solo coerenza – e quindi nessun tipo di finanziamento pubblico a progetti ideologici nelle scuole -, ma anche più impegno, da un lato, per arginare il gender nelle scuole, già presente con la carriera alias, prevista in oltre 400 istituti, e, dall’altro, per potenziare la libertà educativa dei genitori, contro il dilagare dell’associazionismo arcobaleno nelle classi, che purtroppo continua indisturbato. Non c’è dunque tempo da perdere, per il bene dei nostri figli e giovani.