18/12/2014

EllaOne: contraccezione o aborto (illegale)?

Abbiamo già parlato dei possibili effetti abortivi della contraccezione di emergenza in diverse occasioni, della verità sul meccanismo di azione di ellaOne  e delle bugie dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) :  che, qualora venissero accolte anche dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) aprirebbero spazi per un’azione legale.

La carenza d’informazione sugli effetti della pillola dei cinque giorni dopo costituisce un grave problema etico, perché chi non conosce non è in grado di scegliere consapevolmente e liberamente. 

Riportiamo di seguito l’analisi su questo tema di Anna Fusina, tratta dal blog  vitanascente.blogspot.it/

Il meccanismo d’azione di ellaOne, la pillola dei cinque giorni dopo,  non è esclusivamente di tipo antiovulatorio.

Le donne che assumono ellaOne  nel periodo fertile del ciclo mestruale per la maggior parte ovulano e possono concepire, ma, essendo il loro endometrio irrimediabilmente compromesso a causa dell’azione della pillola, non si verificherà l’annidamento dell’embrione nell’utero materno e verrà così provocata la morte del concepito.

Il possibile effetto antinidatorio (cioè abortivo) è incompatibile con la legislazione italiana.

La legge di riferimento, quando si parla di contraccezione, è la L. 405/75, istitutiva dei Consultori familiari. Nel suo primo articolo essa definisce la procreazione responsabile e finalizza quest’ultima alla tutela della salute della donna e del “prodotto del concepimento”, escludendo così i metodi con meccanismo d’azione post-concezionale.

Anche la recente sentenza della Corte Europea di Giustizia del 18 ottobre 2011 ha riconosciuto nella fecondazione l’inizio della vita e nel concepito un soggetto che deve essere tutelato.

La Direttiva europea 2001/83/CE, relativa ai medicinali per uso umano, all’art. 4 prevede che le procedure di approvazione comunitaria non impediscono ai singoli Stati della UE di vietare farmaci contraccettivi o abortivi incompatibili con le rispettive legislazioni nazionali.

Inoltre la Direttiva europea 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, recepita dal nostro Codice del Consumo nel 2007, prevede che l’informazione all’utenza sia corretta e in nessun modo ingannevole. Essa non deve infatti contenere informazioni false, ma neppure ingannare il consumatore medio nella sua presentazione complessiva (anche se l’informazione sia di fatto corretta) riguardo all’esistenza o alla natura del prodotto, cioè alle sue caratteristiche principali, fra cui la sua composizione, l’idoneità allo scopo ed i risultati che si possono attendere dal suo uso.

morula
Dal momento del concepimento c’è “tutto il bambino”.  Questo mucchietto di cellule (morula), che si moltiplicano incessantemente, già da tre giorni dialoga con il corpo della mamma.

Nel foglietto illustrativo di ellaOne  si dice che “si ritiene che ellaOne agisca bloccando l’ovulazione”, ma se ne omette il possibile effetto antinidatorio, e dunque abortivo.

La presentazione di questo farmaco come “contraccettivo”, termine correntemente usato per indicare la prevenzione del concepimento (inteso come fecondazione) è ingannevole: potrebbe indurre infatti ad utilizzarlo persone che non lo farebbero mai, se solo ne conoscessero il meccanismo d’azione antinidatorio.

La relazione tecnico-scientifica “Ulipristal acetato (CDB 2914) – Meccanismo d’azione: aspetti scientifici, deontologici ed etici” della Società Medico-Scientifica Interdisciplinare PROMED Galileo del 16 aprile 2010  riporta a questo proposito il risultato di alcuni studi:

“In uno studio condotto su 618 donne negli Stati Uniti di età inferiore a 50 anni l’11,8% del campione riteneva che la contraccezione d’emergenza agisse prima del concepimento, il 56,6% tra il concepimento e l’impianto nell’utero ed il 18,1% dopo l’impianto. Il 48% dello stesso campione considerava la fecondazione come l’inizio della vita umana, contro il 19% che individuava tale inizio con l’impianto dell’embrione o fasi successive. (...) In un altro studio, condotto su 581 donne di età media poco superiore ai 30 anni, è risultato che il 39,4% non avrebbe assunto un metodo contraccettivo che avesse esercitato la propria azione dopo la fecondazione. Il 46,3% ha individuato l’inizio della vita umana con la fecondazione contro il 35,7 che ha indicato l’impianto o fasi successive. (...)

La collocazione dell’inizio della vita umana e la religiosità sono fortissimi predittori dell’attitudine delle donne ad utilizzare o rifiutare i contraccettivi in base al meccanismo d’azione (non quindi sulla base della semplice indicazione contraccettiva). Il più recente studio in questo senso, condotto su 178 donne di 18-50 anni che frequentavano due centri universitari di medicina generale, ha confermato i precedenti risultati indicando che il 30% delle donne ritiene che la vita inizi al momento della fecondazione, il 47% indica la fecondazione come momento di inizio della gravidanza, il 20% darebbe il consenso all’utilizzo della contraccezione d’emergenza solamente se essa agisse prima della fecondazione, il 34% la utilizzerebbe solamente se il proprio medico la informasse assicurando che essa non provoca alcun aborto.”

Il fatto che nel foglietto illustrativo di ellaOne manchi un riferimento diretto al possibile impedimento dell’annidamento dell’embrione nell’utero materno rende l’informazione alle possibili utenti difettosa ed inesatta sia dal punto di vista tecnico-farmacologico che sotto il profilo del consenso informato.

Detta lacuna nell’informazione all’utenza, secondo la Società Medico-Scientifica Interdisciplinare PROMED Galileo, “può costituire un importante ostacolo all’esercizio dell’autonomia decisionale della donna e alla sua capacità di assumere decisioni non in contrasto con le proprie convinzioni etiche da cui potrebbero derivare potenziali rischi per la propria salute psichica. (...) un consenso dato senza adeguata e completa informazione sarebbe da ritenersi “non valido”, condizione a cui sarebbero riconducibili possibili problematiche sia in ambito penalistico che civilistico nei confronti del medico (e della struttura) che ha prescritto il farmaco.”

Un’altra questione di particolare rilevanza riguarda la disposizione dell’art. 3 della Determinazione Aifa dell’8 novembre 2011, che subordina la prescrizione del farmaco alla presentazione di un test di gravidanza ad esito negativo basato sul dosaggio dell’HCG beta, al fine di escludere una gravidanza in atto.

L’ hCG (Human chorionic gonadotropin) o gonadotropina corionica è un ormone prodotto dall’embrione, subito dopo il suo impianto nell’utero.

Il test di rilevamento dell’ormone beta hCG nel sangue o nelle urine, che si dovrebbe esibire al momento della richiesta di prescrizione del farmaco, può dare esito positivo di una eventuale gravidanza solo 7-8 giorni circa dopo la fecondazione, quando l’embrione si è già annidato nell’utero; pertanto, se c’è stata la fecondazione ma l’embrione non si è ancora annidato, il test darà come esito un falso negativo, anche se l’embrione sta viaggiando verso l’utero e, quindi, la gravidanza esiste.

Il concepito rimane dunque “invisibile” al test per circa 7-8 giorni, un intervallo di tempo nel quale il livello di beta HCG non si positivizza.

Quindi i test attualmente in uso non servono a escludere un’azione abortiva della pillola, perché non segnalano la presenza dell’embrione se esso non è ancora annidato in utero.

Esiste un test più sensibile che potrebbe segnalare la presenza dell’embrione poco dopo la fecondazione. Entro due giorni da quest’ultima è possibile infatti rilevare nel circolo materno il Fattore Precoce di Gravidanza: l’EPF (Early Pregnancy Factor) che appunto è presente quando inizia una gravidanza.

L’EPF è una sostanza immunosoppressiva, prodotta dall’ovaio prima dell’impianto dell’embrione in utero, che appare circa 48 ore dopo la fecondazione ed è la risposta ormonale della madre ai segnali endocrini che l’embrione appena formato invia, segnalando la sua presenza.

L’impiego del test del dosaggio dell’EPF nel sangue non è però a tutt’oggi standardizzato e non costituisce per il momento un esame di routine a causa del dispendio economico e di tempo che comporta.

Riguardo alla disposizione dell’esecuzione del test di gravidanza preliminare, occorre inoltre rilevare che le donne che volessero farsi prescrivere ellaOne potrebbero anche presentare il test di gravidanza sulle urine eseguito da loro stesse o da altre donne in un periodo di assenza di rapporti sessuali o di rapporti sessuali verificatisi nel periodo infecondo nel ciclo. Il test risulterebbe così negativo e la pillola potrebbe così essere messa da parte, come “scorta” per le “esigenze future”.

Un altro aspetto importante da rilevare riguardo all’informazione data sulla “contraccezione d’emergenza” (in cui è inclusa anche ellaOne), è l’affermazione che la sua diffusione costituisca il presupposto fondamentale per un minore ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza.

Numerosi articoli documentano invece come il ricorso alla “contraccezione d’emergenza” (CE) non riduca l’abortività volontaria, che, anzi, in diversi casi, aumenta.

Infine, si deve rilevare come la disinformazione di molte donne riguardo alla fisiologia della riproduzione, soprattutto delle adolescenti, maggiori consumatrici di contraccettivi di emergenza, porti spesso ad un uso fuori luogo e magari ripetuto della contraccezione d’emergenza.

Nel testo “Sessualità e riproduzione: tutto sotto controllo?” vengono riportati i risultati di uno studio (Bonarini 2004) su mille donne seguite dai Consultori della città di Padova (100 pazienti per ognuno dei 10 consultori dell’area urbana).

A dette donne è stato chiesto di indicare la durata del proprio ciclo mestruale, di identificare su di un grafico il periodo fertile del proprio ciclo, di indicare il giorno della propria ovulazione e il giorno presunto dell’ovulazione in un ciclo che durasse solo 22 giorni.

Sono risultate informate il 21,4% delle ragazze di età inferiore a 20 anni, il 28,9% delle donne di età compresa tra 20 e 29 anni, il 29,1% delle donne comprese tra 30 e 39 anni ed il 36% delle donne di 40 anni ed oltre.

La carenza d’informazione costituisce un grave problema etico, perché chi non conosce non è in grado di scegliere consapevolmente e liberamente.

Se la donna non ha elementi corretti per scegliere personalmente, le sue scelte saranno effettuate da altri, poiché non fondate su una vera conoscenza ma su informazioni veicolate spesso da “fonti interessate”.

E’ indubitabilmente indispensabile una conoscenza non superficiale del meccanismo di azione di ellaOne  sia da parte del medico che prescrive questo prodotto, sia da parte della donna che pensa di assumerlo, al fine che quest’ultima esprima un consenso libero, veramente informato e valido.

Anna Fusina

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