Si chiama “chemsex” ed è il “sesso chimico”, ovvero sesso sfrenato unito al consumo di droga, particolarmente comune nella comunità omosessuale.
Nel Regno Unito c’è chi inizia a preoccuparsi per questa pratica assai pericolosa.
Il British Medical Journal, pregiata rivista scientifica, lancia un preoccupato grido d’allarme in un documentato articolo, firmato da Jamie Willis, di “Antidote”, associazione londinese per tossicodipendenti Lgbt e da Hannah McCall, Naomi Adams e David Mason, tre rappresentanti di altrettante “NHS Foundations”, cioè organizzazioni locali, semi-autonome, facenti capo al “National Health Service”, il Servizio Sanitario nazionale.
Lo studio mette in luce aspetti inquietanti che generalmente i mass media tendono a sottacere.
Il “chemsex” è una forma di “sesso estremo”, che consiste nell’assunzione di droghe – come mefedrone, ghb e cristalli di anfetamina – utili per alleviare eventuali dolori dovuti a comportamenti contro natura e per sopportare interminabili orge sessuali che possono durare ore o addirittura giorni.
I risultati della ricerca riportano che si ricorre alle droghe anche per gestire i sentimenti negativi, come la mancanza di fiducia e di autostima e la stigmatizzazione della condizione di sieropositivi (e forse quelli che qualcuno ancora crede abbiano un senso e possano chiamarsi “rimorsi di coscienza”).
Lo studio ha utilizzato i dati raccolti da un ampio sondaggio europeo, condotto in 38 Paesi, intitolato, “The European Men-Who-HaveSex-With-Men – Internet Survey” (EMIS). I risultati hanno evidenziato come, su 1.142 persone intervistate, nei quartieri londinesi di Lambeth, Southwark e Lewisham, circa un quinto ha affermato di aver praticato “chemsex” negli ultimi cinque anni e un decimo nelle ultime quattro settimane.
I medici sottolineano pure che i servizi di salute mentale hanno visto aumentare pazienti utilizzatori di droghe “chemsex”.
Una delle autrici dell’articolo, la dottoressa Hannah McCall afferma che la pratica “chemsex” è particolarmente diffusa tra gli uomini gay: «Probabilmente circa un quarto degli uomini gay che vengono in clinica dichiarano di aver fatto uso di droghe ”chemsex” nel corso dell’anno passato», ha scritto.
La McCall fa anche notare come tale pratica potrebbe facilmente estendersi anche alla comunità eterosessuale, così come avvenuto in passato con l’ecstasy, originariamente utilizzata solo in ambito omosessuale e successivamente diffusasi ovunque.
I quattro autori dell’articolo concludono il loro ampio editoriale evidenziando come la «morbilità del “chemsex” debba essere una priorità di salute pubblica da affrontare con la massima urgenza e serietà».
È omofobo anche il British Medical Journal? O sono omofobi coloro che vogliono nascondere queste verità in nome dell’ideologia Lgbt?
Redazione
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