Il Parlamento europeo ha deciso di bypassare il dibattito e la successiva votazione in plenaria su una direttiva – stilata dopo una richiesta della Commissione Europea – che contiene riferimenti al gender in sostituzione del sesso biologico e che riguarda il divario retributivo tra uomini e donne e le conseguenti misure di trasparenza salariale
Per la precisione, tra i vari emendamenti spicca il n.10, che recita cosi: «La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce che, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro di pari valore, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo dovrebbe basarsi su principi comuni neutri sotto il profilo del genere ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni fondate sul sesso». La parte inerente ai “principi comuni neuri” sostituisce la terminologia originaria “per i lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile”.
Oppure l’emendamento n.5, che introduce ex novo nella direttiva la frase: «in alcuni Stati membri è attualmente possibile per le persone registrarsi legalmente come aventi un terzo genere, spesso neutro». La presa di posizione dell’Europa in questa direttiva è un campanello d’allarme importante, con pericoli enormi da non sottovalutare. Innanzitutto a livello giuridico e poi, ma non di minor importante, per quanto riguarda l’aspetto linguistico e sociale. Una direttiva, infatti, come ha già denunciato Pro Vita & Famiglia, rappresenta un atto giuridico ufficiale con effetti diretti sulle legislazioni degli Stati Membri e questo crea quindi un precedente pericoloso per l’uso della parola “genere” in sostituzione di “sesso”. In più, ormai lo sappiamo bene, l’uso del linguaggio gender fluid ha effetti estremamente controproducenti soprattutto laddove si vorrebbe promuovere e tutelare una vera parità femminile, come in questo caso specifico in cui si parla di parità salariale.
Nel caso in questione protagoniste sono state le Commissioni parlamentari per l’occupazione e gli affari sociali (Empl) e quella per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere (Femm), le quali hanno adottato il 17 marzo 2022 una relazione dal titolo “Rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione a parità di lavoro o lavoro di pari valore tra uomini e donne”, che, di fatto, modifica la proposta della Commissione inserendo, come detto, gli espliciti riferimenti al gender. La Relazione, proprio per questi suoi contenuti così delicati e scottanti, avrebbe dovuto essere portata in Aula, per garantire una vera pluralità di dialogo e consentire a tutti gli eurodeputati di prenderne visione ed eventualmente – crediamo non sarebbero stati in pochi – votare contrariamente e affossare questa deriva. Possibilità che, di fatto, non c’è stata, poiché il Parlamento ha deciso di ricorre direttamente ai negoziati con gli altri organi legislativi dell’Ue, senza il voto di tutti gli eurodeputati.
Come ha fatto giustamente notare la vicepresidente della Fafce (Federazione delle associazioni familiari cattoliche) Angelika Weichsel Mitterrutzner: «Se l’obiettivo di questa direttiva è combattere il divario retributivo di genere tra uomini e donne, che tipo di protezione attueranno queste misure se non si fa menzione delle donne?». Le ha fatto eco il presidente della Fafce, Vincenzo Bassi, che ha sottolineato come il testo così modificato, perderebbe, in realtà il suo senso: non si tratterebbe, infatti, di una semplice questione linguistica perché, in questa maniera, da atto legislativo di tutela delle donne, si trasformerebbe in una sorta di condanna generale delle discriminazioni retributive per imprecisati motivi.
Una presa di posizione ideologica, dunque, soprattutto perché la posta in gioco che era la discriminazione delle donne diventa ancora più centrale – e forse più probabile – proprio per le modifiche apportate, che rischiano di far sprofondare proprio le donne in un costante vortice discriminatorio, dove essendo tutti fluido e indefinito nulla sarà più veramente tutelato, neanche l’essere donne e ricevere in quanto tali il giusto ed uguale compenso rispetto agli uomini.