Accade spesso, troppo spesso che una persona venga data per irrecuperabile, addirittura per morta, ma che in realtà ciò non sia.
Personale medico che, con una superficialità che solo un approccio meramente burocratico può conferire, si affrettano a comunicare ai parenti che la persona amata è spacciata. Non si può far nulla se non “avere-pietà-di-lei” e staccare le spine.
Privi di lauree in medicina ma con una dose si buonsenso ed umanità, alcuni genitori, amici, fidanzati, si oppongono ed esigono che il proprio caro venga curato sino infondo.
Passano i giorni, i mesi, a volte addirittura anni, e la persona che era stata data per morta, torna in vita, a volte addirittura raccontando di come avesse sentito i discorsi fatti, paralizzato in un corpo mentre attorno a sé i medici cercavano di convincere tutti a farti morire e, magari, a espiantarti gli organi, come nel caso di Jimi Fritze, il 43enne che riprende conoscenza poco prima di entrare in sala operatoria per l’estrazione dei suoi organi.
Riportiamo la storia di Robin Richard, sopravvissuto ad una scarica di 400 mila volt, dato per spacciato ma risorto dal coma solo grazie all’insistenza dei genitori a fronte dei medici che avrebbero voluto farlo morire e che tutt’ora si rifiutano di prestargli le cure dovute.
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Sono passati sette anni da quando Robin Richard è stato colpito da un fulmine. Una scarica pari a circa 400 mila volt l’ha attraversato dalla testa ai piedi il 29 marzo 2007, a 14 anni, mentre andava in bicicletta con suo fratello nel comune francese di Trent durante una gita proposta dalla sua scuola, il Collège Simone de Beauvoir di Vitrolles.
IL COMA E IL RISVEGLIO. Nonostante il colpo terribile, Robin è sopravvissuto. Caduto in un coma profondo, i medici hanno subito consigliato ai genitori di «staccargli la spina» e lasciarlo morire perché «irrecuperabile». I genitori si sono opposti a più riprese, decisi a «combattere per la vita di nostro figlio» e dopo otto mesi Robin si è svegliato tra lo stupore dei dottori.
Da allora i genitori di Robin, Annick e Bruno, combattono contro gli ospedali e il governo francese perché il figlio possa fare una fisioterapia adeguata per recuperare quante più funzioni del corpo possibili.
I MIGLIORAMENTI. L’impresa non è delle più semplici, anche se da quando è uscito dal coma Robin ha fatto piccoli progressi grazie al solo lavoro costante dei genitori: non parla ma capisce quello che gli si dice, riesce a tenere la testa dritta, a sedersi e a realizzare piccoli movimenti con le gambe e le braccia. I genitori affermano che per migliorare ulteriormente dovrebbe entrare in un programma di riabilitazione speciale, ma il massimo che hanno ottenuto dalla sanità francese è due ore di fisioterapia a settimana. Secondo i dottori non ha senso tentare ulteriori terapie perché «non c’è speranza che migliori».
QUATTRO SCIOPERI DELLA FAME. Dopo aver scritto un libro su loro figlio, Robin. Le jour où le ciel se déchira (il giorno in cui il cielo si è squarciato), e avere realizzato quattro scioperi della fame davanti alla sede del ministero della Sanità per essere ascoltati, il ministro della Salute di Sarkozy, Xavier Bertrand, ha dato ascolto alla famiglia e nel 2012 ha permesso di trasferire il ragazzo da Marsiglia a Parigi, dove è stato operato alla bocca, rimasta sigillata da quel 29 marzo 2007.
Il ministro promette anche a Annick e Bruno di far svolgere a loro figlio un programma di fisioterapia «eccezionale». Si era però alla vigilia del voto nazionale e dopo l’elezione di François Hollande, e il conseguente cambio di ministro alla Sanità, il progetto è saltato.
LETTERA A HOLLANDE. I genitori hanno così intrapreso un nuovo sciopero della fame e scritto una lettera a Hollande: «Signor presidente, abbiamo provato a contattare voi e il ministro Touraine in tutti i modi e non ci avete neanche mai degnato di una risposta. Che cosa dobbiamo fare per essere ascoltati? Scioperi della fame, salire su una gru, immolarci, diventare dei terroristi?».
Per Annick, «i medici insistono che Robin non può fare progressi solo perché così non sono obbligati ad assumere altro personale per fare la fisioterapia necessaria». Intervistata, ha dichiarato ai media francesi: «Robin continua a combattere per vivere. Io sono arrabbiata con i dottori perché non danno a Robin ciò di cui ha diritto: cure mediche».
«MIO FIGLIO È VIVO». Nonostante quello che è successo, Annick non ha perso la sua fede: «Io credo in Dio. Quando mio figlio è stato colpito da un fulmine ho gridato a Lui tutta la mia collera e la mia rabbia. Ma ho capito che se avesse voluto portarmelo via, l’avrebbe già fatto. Ecco perché non penso all’eutanasia: mio figlio è vivo».