Il Washington Times ha riportato la triste vicenda di una malata terminale cui la compagnia d’assicurazione si è detta disposta a pagare l’eutanasia, ma non più la chemioterapia.
Stephanie Packer , sposata e madre di quattro figli, ha una forma terminale di sclerodermia.
Inizialmente l’assicurazione sanitaria le forniva la cura chemioterapica adatta al suo male. Ma poco dopo l’approvazione della legge sul suicidio assistito (chiamatela come volete: sedazione terminale, suicidio assistito... sempre di eutanasia si tratta) della California è entrata in vigore, una settimana dopo l’approvazione della legge, ha ricevuto una lettera per posta che comunicava la cessazione della copertura assicurativa del farmaco.
Viceversa per le pillole per suicidarsi la malata avrebbe dovuto sborsare solo 1 dollaro e 20 cent: il resto del costo del veleno sarebbe stato coperto dall’assicurazione.
E’ ovvio che la legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia crea un incentivo economico notevole per il sistema sanitario: i soldi sono soldi. Perché sprecarne per curare qualcuno che deve comunque morire, quando a togliersi di mezzo si risolve il problema in modo rapido e si risparmia?
L’atteggiamento è cambiato anche nel suo gruppo di sostegno: prima della legge gli incontri tra i malati e con gli operatori erano positivi, la Parker ne usciva rafforzata, incoraggiata. Ora anche lì lo spettro del suicidio pende sopra di loro come una nuvola scura.
Diversi anni fa a Barbara Wagner e Randy Stroup , in Oregon, è accaduta la stessa cosa: sono state negate le cure mediche, ma gli è stato offerta l’eutanasia.
Redazione
Fonte: Lifenews.com
#STOPuteroinaffitto: firma qui e fai firmare la petizione
contro l’inerzia delle autorità di fronte alla mercificazione delle donne e dei bambini