Approfittiamo della pubblicazione di un documento della JAHLF (John Paul II Academy for Human Life and the Family) – riportato da un articolo di Corrispondenza Romana -, per riflettere sull’eticità di pratiche mediche, quali le cure palliative e la sedazione terminale, i cui termini vengono spesso usati in modo improprio o strumentalizzati per mostrare l’eutanasia come un “atto di amore”.
Le (vere) cure palliative non sono eutanasia
«Le cure palliative – afferma il documento – sono una pratica medica che può [...] incorporare un’integrazione delle dimensioni mediche, etiche e teologiche per la cura dei pazienti terminali».
Infatti, lo statuto dell’Associazione Europea per le Cure Palliative afferma che queste «rispettano la vita e considerano il morire come un processo naturale. Il loro scopo non è quello di accelerare o differire la morte, ma quello di garantire la migliore qualità di vita, sino alla fine».
La terapia del dolore e la palliazione non hanno quindi le finalità dell’eutanasia. Con esse, da un lato si accetta di non poter impedire la morte, dall’altro non la si procura. Non si tratta, dunque, di eliminare il sofferente ma di combattere la sofferenza rispettando la dignità della vita umana.
I mortiferi, con la neolingua, amano confondere eutanasia e palliazione
Eppure, abbiamo già evidenziato il fatto che i cultori della morte amano confondere l’eutanasia con le cure palliative. È per questo che il documento dell’JAHLF mette in guardia dalla pratica della “sedazione terminale”, sulla quale forse vige ancora tanta confusione.
La “sedazione terminale”: che cosa è?
A tal proposito, è necessario fare chiarezza sui vari tipi di sedazione. La “sedazione palliativa” è una procedura atta a domare i sintomi e non prevede affatto la rimozione dei sostegni vitali, quali l’idratazione e l’alimentazione.
Non è quindi una forma di eutanasia ma una procedura comunque irreversibile, in quanto sarebbe disumano svegliare il paziente, facendogli provare nuovamente dei sintomi non diversamente coercibili.
Non sorprende che, quindi, il documento dell’JAHLF giudichi morale questa pratica, nel caso in cui venga usata per dispnea o deliri agitati dell’agonizzante, ma resta immorale se venisse usata con facilità al posto della palliazione.
Il valore dell’esistenza umana non è solo se la vita è gradevole e confortevole: la sedazione terminale usata male si rivela una pratica «diretta contro la dignità della vita cosciente razionale».
La sedazione terminale eutanasica
Ma nettamente diverso è il caso della “sedazione eutanasica”, che, con il reato di omicidio (o omicidio del consenziente) non ha alcuna differenza. Essa, infatti, o per l’interruzione dei supporti vitali (anche in seguito a sedazione palliativa), o per gli stessi farmaci usati, uccide il paziente, provocandone una morte che non sempre è dolce come viene proclamata.
Ebbene, ora che in Italia le DAT sono legge, l’eutanasia è consentita, chi soffre è spinto a credere di essere un peso inutile e, una volta indotti i malati e i disabili al suicidio, lo Stato potrà risparmiare denaro, anziché investirlo in cure palliative.
Ma chi è nella sofferenza... vuole davvero morire?
Luca Scalise
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto