Il Vice presidente nazionale di Scienza e Vita, neurochirurgo e neuropsichiatra, Presidente di “Vita è” ci offre uno spunto di riflessione lucida, razionale e scientifica sull’importanza della famiglia naturale con la presenza maschile e femminile per la crescita dell’individuo.
Proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita di gennaio 2013, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato.
Il tema dello sviluppo psichico del bimbo, durante i primi anni di vita, va oggi affrontato alla luce della scoperta dei cosiddetti neuroni specchio (NS).
Nel 1994/95, dopo studi sulle modalità di apprendimento nei primati, Giacomo Rizzolatti e la scuola neurologica di Parma individuavano una nuova famiglia di neuroni dotati di capacità cognitive. Trasferita la ricerca sull’uomo, con tecniche di RMN funzionale, si giungeva alla dimostrazione che un simile pool neuronale era presente anche nel cervello umano.
Venne adottata la denominazione di “neuroni specchio”, con l’intento di precisare che la loro funzione specifica è riconoscere e interpretare gli atti motori, compiuti da altri soggetti.
Si tratta, quindi, di neuroni motori, presenti in diverse regioni cerebrali, collegati attraverso una ricca rete sinaptica con tutte le aree cerebrali motorie e cognitive.
La loro caratteristica fondamentale è rappresentata dalla capacità di attivarsi non solo quando si compie una data azione (come fanno tutti i neuroni motori), ma anche quando si osserva un’azione compiuta da altri (proprio come se quell’azione venisse compiuta personalmente).
Non solo. Essi entrano in funzione anche quando semplicemente udiamo il racconto o immaginiamo una data azione, o quando percepiamo il rumore che essa usualmente provoca (una sirena, uno sparo, ecc.): il risultato finale è che, consentendo al cervello di confrontare i movimenti osservati o immaginati a quelli propri, rendono possibile di comprendere non solo lo svolgimento meccanico, ma anche il significato dell’azione motoria, fino a individuarne la componente intenzionale.
Con una felice espressione, d’immediata efficacia, Rizzolatti ha coniato un aforisma definendoli neuroni “so quello che fai”.
Date queste caratteristiche, si comprende quanta importanza giochino i NS in funzioni che vanno ben al di là del semplice atto motorio, fino a darci una nuova chiave di lettura delle cosiddette “funzioni simboliche superiori”, quali apprendimento, imitazione, linguaggio, emozioni, affettività ed empatia. Ciò non significa negare l’importanza dell’elaborazione specificamente cognitiva cui sono deputate strutture cerebrali diverse (lobo temporale, parietale, occipitale), ma la funzione d’interpretazione/comprensione immediata, quasi istantanea, di ogni atto motorio in senso lato (ad esempio, il riconoscimento e la comprensione dei volti e delle espressioni affettive che il volto media), precedente ogni altra mediazione culturale, concettuale o linguistica, si realizza attraverso il “sistema di rispecchiamento”.
Si può, quindi, facilmente immaginare la particolare importanza giocata dai NS nello sviluppo psicofisico del bambino.
Ad esempio, è grazie al sistema di rispecchiamento che – va ripetuto e sottolineato, non richiede nessuna elaborazione concettuale – il bimbo è in grado di distinguere l’espressione di un volto (maschile/femminile; felice/triste; infantile/anziano; ecc.), strutturando il proprio assetto di “consonanza affettiva”, bimbo/madre e bimbo/padre.
Il bambino esperisce, impara ed elabora le sue prime relazioni sociali con i propri genitori, entro il nucleo familiare, in un legame primigenio di relazione affettivo-emotivo-cognitiva unico e irrepetibile.
Entro questo contesto si strutturano progressivamente le due caratteristiche fondamentali della personalità (concetto certamente difficilmente definibile in termini rigidi, ma non per questo astratto o evanescente): la conoscenza di sé e la costruzione del senso d’identità, fra loro interagenti.
Il bambino definisce se stesso cercando risposta a una domanda interna, ancestrale e inconsapevole: “chi sono io?” e lo fa utilizzando il materiale che ha a disposizione, cioè il proprio corpo (patrimonio genetico, il patrimonio neurobiologico, di cui il sistema di rispecchiamento è componente essenziale, soprattutto nelle fasi iniziali della vita), interfacciato al patrimonio “ambientale” che ha a disposizione, cioè papà, mamma, fratelli, luogo sociale con tutte le sue variabili.
Questo delicato processo di costruzione della propria personalità è strutturale e globale: riguarda il corpo, con tutte le sue caratteristiche anatomo-funzionali, la cognizione (dall’affettività all’emotività, dal comportamento al pensiero), la socialità (dal sentimento di difesa e conservazione, all’autostima e alla gestione dell’alterità e della relazione), attraverso un lavoro complesso, graduale, continuamente rimodellato e influenzato da fattori della propria “biografia”.
Questa “conoscenza di sé” fa parte di quelli che lo psicologo americano Maslow definisce “bisogni primari”, che incidono profondamente sul benessere del bambino. Per “sentirsi bene” il bimbo – accanto al bisogno di nutrirsi, di dormire, di essere protetto, amato e accudito – ha bisogno di “conoscersi” a 360 gradi, nella sua componente somatica (conoscenza del proprio corpo) e nella componente cognitiva (emozioni, sentimenti, relazioni).
Questo processo richiede un lavoro di assemblaggio fra due opposte esperienze: da una parte assimilazione/identificazione e dall’altra esclusione/differenziazione del proprio sé, corporeo e psichico, confrontando quanto lo identifica con il padre e quanto lo differenzia dalla madre, e viceversa.
Ritenere ininfluente o insignificante che la relazione con la figura materna sia esperita attraverso un soggetto maschio o, viceversa, che la relazione paterna sia gestita da un soggetto femmina è – al di là di ogni categoria antropologica – in contraddizione con tutto quanto acquisito in ambito neurobiologico e che il sistema dei NS ci ha rivelato.
Svolgendo questi un ruolo essenziale nell’apprendimento pre-concettuale, come dimostrato, non è pensabile che l’abbinamento madre/maschio o padre/femmina non giochi un ruolo determinante nello sviluppo psicologico del bimbo.
Spesso ricorre l’espressione “quello che conta è l’amore”, certamente un po’ irenica, ma non del tutto priva di valore e di significato, ma stiamo parlando di ben altro e di tutt’altro: la corporeità (con la relazione affettiva che essa veicola) è struttura concreta, imprescindibile e non sostituibile, per lo sviluppo armonico del sé corporeo (e, successivamente, psicologico) del bambino, essendo stimolo diretto e primario, attivante il sistema di rispecchiamento. Anzi, è da considerarsi oggettivamente pericoloso che questo primo stimolo abbia le caratteristiche della “confusione” organica/somatica: come non pensare che – almeno in via di alta probabilità – non possa costituire un elemento turbativo nel processo di strutturazione intrapsichica del bimbo?
Quantomeno nell’ottica di un saggio principio di precauzione – considerato che tanto le Dichiarazioni Internazionali, quanto la legislazione nazionale italiana (legge 184/83) affrontano il delicato tema dell’adozione dei minori nella prospettiva “dell’interesse esclusivo” del bambino e del suo maggior benessere possibile – è decisamente auspicabile che siano garantite al minore tutte le migliori condizioni esistenziali possibili perché il suo sviluppo psicofisico possa avvenire nell’ambito della relazione genitoriale “eterosessuale” che il senso umano condiviso ha consolidato fin dai primordi della sua storia, al di là di ogni scelta morale o confessionale.
Massimo Gandolfini