«L’Europa ce lo chiede»: è l’asserzione che chiude qualsiasi dibattito sulle opinabili scelte politiche economiche e fiscali dei nostri governi, da una decina d’anni a questa parte. E se l’Europa ci chiedesse anche politiche concrete di welfare per la famiglia?
E se l’Europa ci chiedesse politiche concrete e sostanziali per sostenere l’incremento demografico e quindi la famiglia, e quindi la conciliazione del lavoro con la maternità?
Lo studio “La famiglia e il cambiamento demografico” (SOC 245 – EESC – 55/2007, par. 8.13) del Comitato Europeo per gli affari Economici e Sociali, rileva che gli Europei non riescono a soddisfare il loro desiderio di avere bambini. Soprattutto il desiderio di un terzo figlio è di fatto un’utopia. Ciò è dovuto principalmente a questioni economiche e in paticolare alle difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia per la donna.
Avevamo accennato alla questione quando abbiamo presentato ai nostri lettori la piattaforma politica stilata dall’Associazione Women of the World. Ci sembra importante ora approfondire questo punto.
Una vera flessibilità dei contratti di lavoro, nel senso che essi possano essere concreti strumenti di sostegno per la famiglia e quindi via d’uscita verso la soluzione della crisi demografica con cui ci stiamo “suicidando”, vuol dire la previsione di un orario di lavoro flessibile e ridotto, che non comporti alcuna discriminazione ingiusta nei confronti delle madri, a prescindere dall’età dei figli, e con la corrispondete agevolazione fiscale e contributiva per i datori di lavoro, in modo che questi non siano penalizzati dall’assunzione di dipendenti madri di famiglia.
Invece, molto spesso, oggigiorno si intende la conciliazione lavoro-famiglia come la ricerca di soluzioni che consentono alla donna di lavorare a tempo pieno (e spesso anche oltre), mentre qualcun altro si occupa dei bambini.
E’ ovvio che la politica di implementazone e potenziamento dei nidi e delle scuole materne è benvenuta, ma non è essa il punto centrale della questione. Una madre che passa con i figli solo una o due ore al giorno, “prima della nanna”, non è una donna che concilia il lavoro con la famiglia. Anzi: se l’educazione dei bambini è sostanzialmente affidata alle strutture scolastiche, si priva i genitori del diritto – dovere di educare i figli a vantaggio dello Stato. E le tentazioni per esso di intraprendere politiche di indottrinamento diventano forti: è tipico delle dittature togliere il più possibile i bambini dalle fmiglie ed educarli a tempo pieno nelle scuole o nei collegi.
Una vera politica di conciliazione lavoro-famiglia comprende la concreta possibilità per tutta la famiglia di trascorrere del tempo insieme. Non a caso la Costituzione italiana prevede l’irrinunciabilità del diritto al riposo: giornaliero, settimanale e ferie annuali.
Ogni Stato membro dell’UE dovrebbe delineare delle linee guida informative e formative per raggiungere capillarmente i datori di lavoro, gli uffici risorse umane e i sindacati, al fine di promuovere le buone pratiche e rendere effettive le politiche di conciliazione lavoro – famiglia (Comitato sui Diritti delle Donne e le Pari Opportunità del Parlamento Europeo, A5-0092/2004, par. 14).
Le pubbliche autorità, che hanno il dovere di perseguire il bene comune, devono quindi offrire agli uomini e alle donne la concreta e fattiva possibilità di creare una famiglia e di procreare i figli senza sentirsi costretti a una pianificazione familiare che castra il loro legittimo desiderio di maternità e paternità. Anche quella di essere una famiglia aperta alla vita è una “scelta” nella quale lo Stato non deve interferire (parole, di nuovo, del Comitato Europeo per gli affari Economici e Sociali, SOC 245 – EESC 55/2007, par. 8.15). In Germania, ad esempio, il 45,3% delle madri che lavorano hanno impieghi part-time (Women in the labour force in Germany and France’, a cura del “Dipartimento spagnolo dell’impiego e dell’immigrazione”).
E’ internazionalmente riconosciuto, anche dai documenti Onu, il bisogno della diffusione di politiche pro-famiglia tra gli Stati del mondo. Con, inoltre, il dovere degli Stati di curare con particolare attenzione il welfare delle famiglie in cui uno dei genitori sia rimasto solo (ragazze madri, vedovi, divorziati): ne parla la risoluzione delle Nazioni Unite sulla “Protezione della famiglia: contributo della famiglia alla realizzazione del diritto ad adeguati standard di vita dei suoi membri, particolarmente attraverso il suo ruolo nello sradicare la povertà e nel realizzare lo sviluppo sostenibile”.
Sarà quindi il caso che in tutti i contesti socio-politici dove si tirano in ballo l’Europa e l’Onu per promuovere contraccezione, aborto e gender, si sia in grado di controproporre quelle istanze europee e internazionali che aprono concrete prospettive di sostegno e promozione della famiglia – quella vera, naturale – che procrea, cura e educa i figli, per il bene della socità tutta.
Francesca Romana Poleggi
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