18/12/2015

Famiglia e matrimonio: il Giappone tra modernità e tradizione

In tema di famiglia e matrimonio il Giappone è in bilico tra modernità e tradizione.

Recentemente abbiamo parlato di alcune caute aperture che il Paese del Sol levante sembra aver fatto riguardo alle unioni omosessuali.

Ora però apprendiamo dal Guardian che nei giorni scorsi la Corte Suprema nipponica ha stabilito la conformità all’attuale Costituzione di una antica norma risalente al XIX secolo, secondo cui le coppie sposate devono utilizzare il medesimo cognome, che per consuetudine è quasi sempre quello del marito.

L’Alta Corte ha poi giudicato incostituzionale un’altra legge, che impone alle donne divorziate di attendere sei mesi prima di poter contrarre un nuovo matrimonio, in modo tale da garantire certezza sulla paternità della prole. Tuttavia, non ha abolito questa interdizione, ma l’ha modificata accorciando il tempo di attesa a cento giorni. Oggi, infatti, le nuove tecnologie permettono di verificare prontamente l’identità del padre.

Le normative messe in discussione risalgono all’era Meiji (1868-1912), quando è stato adottato un diritto di famiglia “occidentale” abolendo tutte le vecchie regole in vigore nel sistema feudale, in base alle quali le donne e i figli erano posti sotto il controllo del capo della famiglia, solitamente un uomo.

Le riforme avvenute nel 1948 non hanno modificato la prassi sul cognome e quella sul divieto di nuovo matrimonio entro i sei mesi.

Il giudice che ha presieduto l’udienza, Itsuro Terada, ha detto che un cambiamento di cognome dopo il matrimonio non vìola la dignità individuale e l’uguaglianza tra uomini e donne, sottolineando pure che queste ultime possono comunque usare il nome da nubile informalmente (come del resto avviene). Inoltre, non essendoci un espresso divieto, nulla vieta alla coppia di adottare il cognome della donna: solo la consuetudine fa preferire quello del marito (nel 96% dei casi). In genere, infatti, il cognome della moglie viene assunto quando nella casata della donna non c’è un figlio maschio che possa far sopravvivere il nome.

Secondo il costituzionalista Masaomi Takanori, intervenuto alla televisione pubblica NHK prima del verdetto, il cognome unico tiene unita la famiglia, mentre permettere cognomi diversi rischia di distruggere la stabilità sociale, il mantenimento dell’ordine pubblico e la base per il benessere sociale.

Nonostante la Commissione delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne abbia chiesto al Giappone di rivedere tali leggi – come se si trattasse di una questione imprescindibile per i destini della popolazione – il movimento femminista nipponico per il momento deve accettare la sconfitta.

Redazione

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