Vittorio Feltri è il classico giornalista che non lascia (quasi) mai indifferenti. O piace molto, o dispiace assai. Di sicuro in una carriera lunga e importante, ha dimostrato un talento raro, come raccontatore e commentatore dell’attualità.
Pungente – a volte fino all’insulto - ma sempre coraggioso e leale, anche andando contro il suo “campo” e i “suoi” lettori.
Anche stavolta è stato forse l’unico direttore di un quotidiano nazionale che ha scelto di pubblicare, sul tema dell’aborto e della recente sentenza americana che ha ribaltato la “Roe vs Wade”, due interventi assolutamente contrastanti. Uno pro life firmato Renato Farina, uno pro choice per la penna di Filippo Facci.
Lui, dopo i suoi collaboratori, ha aggiunto un pezzo in cui svela una storia personale, commovente e toccante proprio sull’aborto che di un soffio si è evitato in casa Feltri. «A me – scrive - hanno insegnato i preti, molti anni fa quando ero adolescente, che se la vita è sacra lo è dal concepimento alla morte». E che «Abortire significa strappare un bimbetto in formazione dalle viscere materne».
Vittorio Feltri, giovane padre di 3 figli, si trovò infatti davanti alla tentazione dell’aborto, quando sua moglie restò incinta, inopinatamente, per la quarta volta. Il direttore di Libero racconta che lui e la moglie pensarono all’aborto perché la quarta gravidanza avrebbe impedito alla signora Feltri di «continuare la sua attività importante presso un ente pubblico».
Che fare, allora, visto che l’aborto era ancora illegale in Italia? L’idea fu quella di recarsi in Svizzera per disfarsi del “problema”. «Presi contatto con una struttura elvetica – racconta - e mi accordai anche sulla data dell’intervento». Ma in prossimità dell’operazione sorsero nei coniugi Feltri delle serie “titubanze”.
All’ennesima domanda della moglie, Feltri sbottò e disse che quella scelta era secondo lui una «incredibile pu**anata» e poi aggiunse francamente: «senti amore mio, a me i bambini hanno sempre portato fortuna», promettendo di adoperarsi per «non far mancare nulla» ai suoi. Così, racconta sempre il giornalista, «ci abbracciammo come due sposini, poi disdissi l’appuntamento svizzero».
La vita insomma vinse su tutta la linea. E sa la vita vince, e l’aborto perde, la gioia è tanta nei cuori degli uomini coraggiosi. Nacque così una sanissima bimba. «Guardai la piccola - conclude il giornalista - come si guarda un gioiello. Mi sembrava un miracolo. E pensare che aveva rischiato di finire in un bidone della spazzatura».
Oggi la bambina di Feltri ha 50 anni e un figlio, e l’anziano padre di quasi 80 anni non ha rimpianti, né rimorsi.
Che cosa ci insegna questa storia finita bene? Tante cose. Anzitutto che la legge che vietava l’aborto, prima dell’infausta 194, educava i cittadini al bene. Perché tutti possiamo essere tentati dal male, dalla facilità, dall’egoismo, dall’ignoranza. Specie nel far capire agli uomini che non si sta decidendo di togliere un dente cariato o le tonsille, ma si sta sottraendo “un bimbetto” dall’esistenza.
Poi il fatto che nella scelta dell’aborto c’è insicurezza, stress, dubbio lancinante e spesso ripensamenti. Nello scegliere la vita no. Solo la gioia di aver fatto il proprio dovere di genitori e di adulti che si fidano del futuro e, se hanno fede, si affidano al buon Dio.
Speriamo che il racconto del giornalista bergamasco tocchi i cuori di molti. A partire da quei legislatori che non soddisfatti dei milioni di aborti in corso, vorrebbero vietare l’obiezione di coscienza e iscrivere l’aborto nelle Costituzioni degli Stati.