I medici obiettori di coscienza non sono affatto in aumento, né rappresentano una forza tale da rendere impraticabile la prestazione dell’aborto. Il problema, piuttosto, è un altro: rafforzare il coordinamento tra gli obiettori e lavorare sulla formazione delle nuove generazioni di medici. I giovani studenti e specializzandi, infatti, tendono sempre più a non optare per l’obiezione di coscienza, con la quale andrebbero a trovarsi preclusa la via di molti concorsi. Ad affrontare la problematica con Pro Vita & Famiglia è Angelo Francesco Filardo, ginecologo, fondatore ed ex presidente del Comitato Verità e Vita, e fondatore e vicepresidente dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC).
Dottor Filardo, molti gruppi abortisti insistono nel lanciare l’allarme sulla presunta penuria di medici non obiettori. Qual è, però, la realtà dei fatti?
«Stando all’ultima relazione del Ministero della Salute, questo problema dell’insufficienza dei medici per coprire le prestazioni dell’aborto non compariva affatto, al di fuori di una Regione [il Molise, ndr]: in quel caso, però, la questione si “risolve”, usufruendo delle strutture convenzionate. Il problema nasce quando, ad esempio, la Regione Umbria indice dei bandi di concorso riservati ai soli non obiettori, sia per gli ospedali sia – peggio ancora – per i consultori. Lì però non traspariva nessuna penuria, visto che nessun medico praticava più di due aborti a settimana. Quindi la pressione degli abortisti è dovuta quindi soprattutto all’imposizione di questi bandi riservati ai non obiettori».
D’altra parte, i dati a nostra disposizione riguardanti una ASL della stessa Regione Umbria riportano di quasi un centinaio di ore riservate ai medici non obiettori nei reparti di ostetricia e ginecologia…
«Questi numeri da soli sono poco significativi. È necessario valutare il numero di non obiettori in relazione al numero di aborti. Lo scenario, quindi, non cambia troppo, anche se gli abortisti, come abbiamo visto, lo vorrebbero cambiare. I dati che il Ministero ha fornito negli ultimi anni, specie da quando è iniziata la pressione sugli obiettori, dimostrano che non c’è nessuna carenza di personale. Anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stato dimostrato che tale carenza non esiste. Pressoché ovunque il personale non obiettore operativo è nettamente sufficiente».
In base alla sua esperienza professionale, il numero degli obiettori, negli ultimi anni, è variato sensibilmente?
«Non mi risulta che il numero di obiettori sia eccessivamente cresciuto. I giovani vengono formati poco o niente dal punto di vista etico quindi non si mettono a fare obiezione di coscienza. Se scelgono questa strada, sanno che si precluderanno qualche contratto importante. È chiaro che una volta stabilizzati, il discorso può cambiare. Un medico alle prime armi, comunque, normalmente non ci pensa, la sua priorità è lavorare».
Venendo all’ambito del fine-vita, con particolare riferimento al ddl Bazoli attualmente in discussione alla Camera, qual è il suo auspicio sul ruolo dell’obiezione di coscienza?
«Premesso che non sono molto informato sull’attuale disegno di legge, ricordo che la Legge 219/2017 sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, l’obiezione di coscienza non la prevede affatto, nemmeno per gli ospedali religiosi. Quest’ultimo è un elemento da tenere in debita considerazione, perché riguarda l’intera categoria, dai medici di base agli ospedalieri. Se nella nuova legge venisse esclusa, sarebbe una grave pecca. Anche in questo ambito, manca una formazione delle coscienze dei giovani medici, persino nelle università cattoliche».
Da tempo, lei sta seguendo da vicino la questione dell’obiezione di coscienza nell’ambito della procreazione assistita: quali problematiche emergono in questo ambito?
«Anche in questo ambito sono coinvolti i medici di base, costretti a fare richieste alla mutua per questo tipo di prestazione. In quanti, però, si sono posti questo problema? Soltanto l’anno scorso mi è capitato per la prima volta che un collega me ne parlasse. In genere, il problema non viene sollevato. Persino qualche sacerdote e vescovo ritengono la fecondazione artificiale come qualcosa di buono e accettabile da parte della Chiesa: l’equivoco è nato tutto nel 2004, quando fu approvata la Legge 40. Eppure, per un medico di base, perdere un singolo paziente non è così dannoso, si tratta di circa 34 euro l’anno. Se noi riuscissimo ad avviare una sensibilizzazione sui medici di base, creeremmo un argine, facendo prendere coscienza della gravità della fecondazione artificiale. Sarebbe quindi importante, su questo, fare fronte comune con l’AMCI, con la Pastorale Sanitaria, ecc. Se i medici non sono sensibili e formati in materia, è inutile fare troppi discorsi…».