Negli Stati Uniti, dove la propaganda gender ha fatto più strada che da noi (almeno finora), hanno inventato il “Transgender Awareness Month” (mese della consapevolezza transgender) e il “Coming Out Day” (giorno della esternazione), nelle scuole.
Il Parlamento dello stato federato del Massachusetts i primi di gennaio voterà su una proposta di legge contro la discriminazione dei transgender.
E’ una di quelle leggi che impone agli uomini (che frequentano toilette e spogliatoi per uomini) e alle donne (che usano toilette e spogliatoi per donne) di subire il diritto dei “cross-dresser” (travestiti, d’un sesso e dell’altro) di usare il bagno che più s’addice a come si sentono quel giorno, a prescindere dagli attributi di cui la natura li ha dotati.
La questione è senz’altro ridicola. Ed è facile ironizzarci su (come abbiamo fatto in altre occasioni).
Purtroppo, però, è cosa seria. E’ il segno di una cultura che si sta affermando, informata a quell’ideologia del gender, che si va sempre più propagandando e che va vista perciò in un contesto più ampio che non può essere relegato né ai confini della realtà, né in qualche contesto originale e astruso di un lontano paese, dei lontani Stati Uniti d’America.
Ci ha fatto riflettere in proposito un articolo apparso su LifeSiteNews.
Le iniziative cui abbiamo accennato (il mese della consapevolezza, il giorno del coming out, i bagni gender neutral) sono tappe precise di una precisa strategia che punta all’indottrinamento delle nuove generazioni.
Il concetto di “non discriminazione dei transgender” mira a forzare psicologicamente l’inversione della percezione mentale ed emotiva delle persone circa l’ordine naturale del maschile e del femminile. Attraverso un esperto uso delle parole per manipolare le idee, si può influenzare potentemente il pensiero degli adulti. Sui bambini e i ragazzi la cosa funziona ancora meglio, ovviamente.
Hanno cominciato, nelle scuole di Boston e dintorni, a minare il senso dei pronomi comuni (che dovrebbero essere concetti certi nella mente dei bambini) distribuendo i “bottoni pronome”: ciascuno si appunta il “lui” o il “lei” (o il “loro”, o il “chiedetemelo” – come da foto a lato) sul petto, a prescindere dalla sua identità sessuata, e tutti gli altri devono rivolgerglisi di conseguenza, a prescindere dalle “apparenze”.
Ora la pressione psicologica continua con la questione dei bagni e degli spogliatoi.
Del resto, gli attivisti LGBT non fanno mistero dei loro scopi e degli strumenti che usano per raggiungerli (come la “lotta alla non discriminazione”). Basti vedere i siti dedicati come quello del Fenaway Institute, dove si può leggere: “Stiamo vivendo in un momento emozionante per i diritti transgender. La comunità ‘genere non conforme’ e transgender ha fatto passi incredibili verso la visibilità e l’uguaglianza. Stelle televisive come Caitlyn Jenner e Laverne Cox hanno introdotto conversazioni su questioni transgender in migliaia di salotti. I media hanno raccontato le storie di transgender giovani e coraggiosi che lottano per il loro diritto di utilizzare i servizi igienici e spogliatoi che corrispondono alla loro identità di genere. E sulla scena politica, si stanno promuovendo leggi apposite per l’assegnazione di alloggi pubblici per le persone transgender...” (Qualcuno ricorda il percorso delle finestre di Overton?).
Un’altra invenzione, cui accennavamo sopra, il “Coming Out Day” è fatta per spingere, nelle scuole (ma anche sui posti di lavoro), le persone che si sentono “diverse” ad esprimere la loro diversità, a vantarsene e a pretendere che sia accettata da tutti. Entro certi limiti e in certi contesti potrebbe anche essere giusto.
Ma persone fragili, come i ragazzi molto giovani, potrebbero essere influenzate nell’esternare un disagio (che di per sé non avrebbe nulla a che fare con l’orientamento sessuale) riconducendolo all’essere omosessuale (o di qualcuno dei tanti generi a disposizione) che risulterà in ultima analisi essere un’imposizione dei manipolatori delle coscienze anziché un’esigenza spontanea. Un ragazzino è timido? Allora è gay. Non può essere timido e basta per certe menti contorte.
La cosa è comprovata dal fatto che queste esternazioni si pretendono da bambini di 7 o 8 anni, per i quali la maturità sessuale e qualsiasi inclinazione in proposito è ancora ben lungi a venire.
In alcune scuole, tra l’altro, tutto ciò avviene imponendo agli insegnanti di non far parola ai genitori delle esternazioni fatte dai bambini: la “famiglia-fobia” è tipica di questa cultura, che ignora che il primo e fondamentale luogo dove le persone – specialmente i bambini – acquisiscono sicurezza e consapevolezza di sé è proprio il luogo dove sono supportati dall’affetto di mamma, papà, fratelli e parenti vari (che poi in famiglia siano a volte perpetrati delitti orrendi capita, come capitano tutte le eccezioni che confermano le regole).
Il tutto, infine, è condito da una forte dose di vittimismo. Si presuppone che l’orientamento o il gusto sessuale sia causa di discriminazione, di violenza, di bullismo. Perciò, chiunque osi obiettare sul metodo o sulla sostanza di queste “trovate”, anche solo per ragionarci su, viene immediatamente messo alla gogna (quella sì, davvero violenta) dell’omofobia.
Tutto questo succede in America. E’ lontano da qui? Non molto.
Francesca Romana Poleggi