Il Direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ha risposto ad una lettrice allarmata per la questione del gender nella riforma Renzi detta “Buona Scuola”.
Dice il Direttore: Non mescolare i libretti UNAR e il quesito buona scuola.
“Qualcuno, gentile signora, fa una grave e inspiegabile confusione tra la battaglia sui cosiddetti libretti Unar frutto delle cosiddette “teorie gender” che nel 2014 è stata condotta con successo da “Avvenire” e l’eccessiva e immotivata campagna referendaria di chi accusa la legge sulla “Buona scuola” (al famoso comma 16) di aprire varchi a operazioni di quel tipo, cosa che non è affatto prevista nel testo normativo e che, come si sa, è stata esclusa dal Ministero dell’Istruzione. Credo che sia il caso di occuparsi dei problemi che purtroppo ci sono (e che dove si manifestano sono piuttosto seri) senza sparare a bersagli sbagliati e con mira (e mire) qualche volta sospette”.
Abbiamo ritenuto doveroso, allora, scrivere a nostra volta al Direttore in questi termini (saremo lieti di pubblicare al più presto la Sua risposta).
Egregio Direttore,
in merito alla risposta da lei data a una lettrice confusa sulla famosa questione del “gender a scuola”, credo vada fatta una precisazione.
E’ vero che i libretti UNAR sono un’altra storia. Ma il famoso comma 16 della legge 107 non va sottovalutato. Esso rinvia all’articolo 5, comma 2, del decreto‐legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che parla di formazione e informazione per prevenire le discriminazioni di genere e rimanda a sua volta al
1)Piano d’azione straordinario di emanazione ministeriale, e alla
2) Programmazione dell’UE.
1) Nel Piano d’azione straordinario di emanazione ministeriale (approvato dai ministeri competenti e dalla Presidenza del Consiglio) si dice come il Governo intende la nozione di genere e di educazione contro la discriminazione di genere, in particolare ex art.5 comma 2 della L. 119 (che si riferisce proprio al “piano d’azione”).
Questo a sua volta richiama “l’allegato B” che, dopo aver richiamato vari passi della Convenzione di Istanbul e l’art. 5 citato, indica gli “obiettivi da perseguire” che “dovranno prevedere la rivalutazione dei saperi di genere per combattere stereotipi e pregiudizi ,ecc, ecc.
Si capisce da questi richiami e da tutto il contesto che il “genere” in questi testi è altra cosa rispetto al “sesso biologico” e che segue la logica della teoria gender (e quindi che anche l’educazione e la formazione cui ci si riferisce implica “l’approccio di genere”).
Ovunque compare, la dizione “superare” o “combattere” “stereotipi e pregiudizi” in relazione all’identità di genere è la chiave per aprire la porta alle teorie che vogliono “decostruire” la nozione di identità sessuata, che tanto preoccupano i genitori. Se poi si dà uno sguardo alla Convenzione di Istambul (il cui art. 3 alla lettera (c) – per esempio – recita: “con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini) i riferimenti all’ideologia del gender sono molto espliciti.
2) Quanto alla programmazione UE in vigore (per esempio il Regolamento (UE) N. 1381/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 che istituisce un programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020) Lei sa meglio di me quanto in Commissione si spinga (dietro ai diritti della donna) per l’uguaglianza di “genere” e il riconoscimento delle “famiglie” LGBT (con annesse pratiche di affitto uteri et similia).
È peraltro innegabile che il punto nodale di questo comma 16 della Buona scuola non sia ciò che in esso è scritto, ma ciò che esso richiama e fa suo , e come tutto ciò verrà realizzato nelle scuole e da chi.
Lungi dal voler creare allarmismi isterici (purtroppo c’è chi dice che ci saranno “lezioni di gender” a scuola...) bisogna chiarire che queste norme, nelle mani di Presidi e docenti di buon senso, che sono la maggioranza, si risolveranno in uno studio più approfondito della “pari dignità sociale” richiamata dall’art. 3 Cost., che del resto si insegna già da 60 anni; ma nelle mani di persone ideologizzate possono servire ad introdurre corsi di educazione sessuale o lezioni di “antidiscriminazione” che servono ad inculcare idee malsane tese a decostruire l’individuo e la famiglia e a generare confusione nell’identità sessuata dei più giovani, soprattutto quando i corsi di “educazione” sulla materia sono tenuti da associazioni vicine all’attivismo LGBT.
E’ difficile chiarire una materia (volutamente) tanto ingarbugliata (proprio perché così si induce a “sparare contro il bersaglio sbagliato”, come lei ha detto), ma sono certa che al Suo giornale lavorano professionisti in grado di farlo. L’unico scopo sarà certamente l’amore per la verità (senza altre “mire”) e l’esigenza di evitare che vengano proposti ai nostri ragazzi percorsi diseducativi come quelli che molti genitori hanno già in più parti d’Italia denunciato.
Cordialmente
Francesca Romana Poleggi
(Direttore Editoriale di Notizie ProVita)DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’