Il gender non manca mai, neanche nel crowdfunding.
Il ‘finanziamento collettivo‘ – per dirla in italiano -, in cui più persone decidono di destinare una somma di denaro per raggiungere uno scopo, è pratica sempre più presente nella vita associativa di ciascuno di noi. E la realtà di questo genere di raccolta fondi è talmente diffusa che spuntano come funghi dei portali web ad hoc, dedicati unicamente a promuovere le più svariate cause.
A chi negli ultimi giorni è capitato di navigare su Facebook può essere successo di imbattersi in uno spazio sponsorizzato – si sa, la pubblicità è l’anima del commercio – dedicato alla raccolta fondi per finanziare la creazione della home edition de “Il gioco del rispetto”, il kit didattico creato per le scuole dell’infanzia tramite il quale si intende promuovere uno svilimento delle naturali differenze tra i sessi.
La versione di questo “gioco” destinata alle scuole (ne parlavamo qui) è stata finanziata con un contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, in partnership con l’Università degli Studi di Trieste, e parte dei fondi sono giunti dal Comune di Trieste che, supportato dalla Consigliera provinciale per le Pari opportunità, ha acquistato il kit per 18 scuole d’infanzia.
I promotori della colletta lamentano però che tanti (sic!) genitori, e addirittura molti (sic!) nonni, vorrebbero portarsi a casa questo coacervo di indottrinamento gender ma, ahimè, non ne esiste una versione casalinga.
Del resto, servono tanti soldi per produrre qualche fascicolo apologetico sulle posizioni delle associazioni LGBT e delle scatole di memory dei mestieri, con le quali al bambino che vi gioca, dai 3 ai 6 anni, viene imposto di considerare uguali le figurine ritraenti delle donne con quelle di uomini.
Per ora il progetto promosso tramite il crowdfunding registra un totale di 73 finanziatori, che hanno portato nelle casse de “Il gioco del rispetto” ben 1965 euro, cifra di tutto rispetto ma lontana dal termine di 12.000 euro fissato dai promotori.
Questi 12.000 euro servirebbero per “testare e avviare la produzione su scala nazionale delle home edition“, comprando sia le materie prime che gli spazi pubblicitari per promuovere il gioco. Praticamente il rischio d’impresa – quella percentuale di fallibilità più o meno significativa a seconda della bontà del progetto imprenditoriale – è totalmente a carico dei volontari contribuenti mentre, finita questa fase di promozione, non è chiaro l’eventuale lucro sulla vendita del kit a chi vada.
Forse, però, gli ideatori potrebbero perfino – immaginiamo noi – destinare gli introiti alla distribuzione gratuita del gioco ai bambini meno fortunati (che, nella lettura gender, sono quelli che hanno una madre e un padre che li educano al rispetto nei confronti del naturale svilupparsi delle differenze tra i sessi). Chissà...
Rosanna Lucca