Nel 2011, una rassegna di studi sulla rivista Obstetrics & Gynecology ha messo in evidenza che solo il 14% degli ostetrici e ginecologi sono disposti a praticare aborti (nota 1). In Oregon, il primo Stato a legalizzare il suicidio assistito nel 1994, un numero davvero sparuto di medici ha prescritto la gran parte delle overdosi letali (nota 2).
Eppure, i principali media riportano dichiarazioni a schiacciante maggioranza in favore sia dell’aborto, sia del “diritto – “umano” e “politicamente corretto” – di morire”, mentre quanti si oppongono sono presi per bigotti insensibili. Le persone e le famiglie danneggiate dall’aborto e dal suicidio assistito sono di solito ignorate, così come la maggior parte dei medici professionisti che non intendono praticarli.
Quanti “impacchettano” l’opinione pubblica – tra cui alcuni politici ed alcuni studiosi di etica – hanno accuratamente costruito un mondo immaginario e artificioso di “diritti”: dall’aborto “sicuro” alla morte assistita “senza vittime”. Questo ha avuto un effetto distruttivo non solo sul pubblico, ma anche sugli atteggiamenti di diversi validi medici professionisti.
Ecco due esempi recenti dalla vita della nostra famiglia.
L’anno scorso abbiamo perso Noah, il nostro prezioso nipotino di sei anni, per complicazioni sopravvenute dopo il trapianto (riuscito bene) di midollo osseo praticato per curargli una rara malattia autoimmune chiamata linfoistiocitosi emofagocitica familiare (HLH).
Noah è stato un vero combattente nella lunga battaglia contro la malattia. Ha sopportato molteplici polmoniti, fratture da compressione, ed un estremo gonfiore che lo ha reso praticamente irriconoscibile. Noi ed i suoi medici rimanevamo fiduciosi, nonostante questi ostacoli.
Tuttavia, un giorno un giovane medico in formazione si rivolse ai genitori di Noah chiedendogli per quanto tempo ancora intendessero far soffrire il figlio. Questo commento giunse in un momento in cui lo specialista di terapia intensiva era ancora ottimista, ma fu devastante per i genitori di Noah, che hanno poi segnalato il medico ai suoi superiori. Mai avrebbero immaginato che tentare di salvare la vita del proprio figlio avrebbe potuto essere interpretato come una specie di tortura.
Segnalarono il medico, nella speranza di impedire che altri genitori dovessero subire un simile approccio negativo. Questo giovane medico probabilmente voleva rendersi utile, ma senza un fondamento etico stabilito su principi saldi, risultava deleterio per i pazienti e le famiglie.
Noah si ristabilì un po’ ed iniziarono le pratiche per riportarlo a casa per il recupero e la riabilitazione. I genitori di Noah, comprensibilmente, rifiutarono di lasciare vicino al loro bambino il suddetto medico.
Purtroppo, in seguito la salute di Noah subì un netto peggioramento e si rese evidente che stava davvero morendo. Ma proprio quando pensavamo che la situazione non avrebbe potuto essere più difficile, è accaduto qualcosa.
Mentre vegliavamo Noah, due giorni prima che morisse, i suoi genitori furono raggiunti dalla penosa notizia che uno speciale test prenatale aveva messo in evidenza che pure Liam, il fratellino non ancora nato di Noah, era affetto da HLH. Fu quindi suggerita l’opzione dell’aborto. Questo accadde benché lo stesso piccolo Liam potesse avere un’eccellente possibilità di cura con il trapianto di midollo osseo, specie dal momento che il suo trapianto si sarebbe potuto pianificare prima che egli presentasse i sintomi della malattia.
Fui così orgogliosa della mia figliastra quando rispose con pronta indignazione all’”opzione” aborto… Disse alla dottoressa che sarebbe stato impensabile per lei offrire ad uno dei suoi figli l’”opzione” di ucciderlo, mentre assisteva alla morte dell’altro!
Il “servizievole” medico che aveva suggerito l’aborto probabilmente pensava di essere compassionevole, e, come troppe persone nella nostra società, vedeva l’aborto come una soluzione accettabile. La mia figliastra illuminò la dottoressa non solo sulla verità dell’aborto come uccisione, ma anche riguardo ai suoi effetti sulla famiglia. Il cosiddetto aborto “terapeutico” non è mai terapeutico, né per il bambino né per la sua famiglia. Come si può uccidere un bambino e allo stesso tempo evitare il dolore ed il senso di colpa? Come si può non realizzare la reale differenza tra il morire e l’essere ucciso?
Liam Isaia è nato il 4 Aprile 2013. E’ bello, grosso e vigoroso. Il suo trapianto di midollo osseo è previsto in un recente futuro, grazie alle condizioni di salute, nell’attesa di un midollo adatto da donatore. Il suo fratellino sano di tre anni, Eli, è entusiasta di essere un fratello maggiore. Celebriamo tutti la nascita di Liam e guardiamo al suo futuro con speranza.
Conseguenze della “cultura della morte”
Nessun atteggiamento è privo di conseguenze – sia che siamo laici, medici, o ecclesiastici -, perché la “cultura della morte” è davvero insidiosa e potente. Troppi di noi rimangono silenziosi e intimiditi di fronte a questo male; ed è grave, perché i principi morali contano veramente e alla fine ci riguardano tutti. Affermazioni provenienti dalla “cultura della morte”, non pubblicamente confutate, stanno diventando parte integrante della coscienza pubblica.
I medici non sono immuni da simili condizionamenti – in particolare i nostri giovani uomini e donne ancora immersi in una cultura di massa, che è determinata più da slogan e frasi incisive, che non da analisi attente. I loro maestri, più anziani e presumibilmente non così ingenui, sono stati a loro volta “lavorati” nel tempo per pensare l’etica della vita in termini di “scelta” e di responsabilità giuridica. Sia la mancanza di informazioni accurate ed oneste sulle questioni in esame, sia la retorica di organizzazioni come la Planned Parenthood, hanno creato un clima che scoraggia o addirittura penalizza gli studenti pro-life, dei quali abbiamo invece un disperato bisogno per costruire un sistema di assistenza sanitaria che non metta a rischio il paziente.
Molti anni fa, dopo un dibattito sul “diritto di morire” venne a parlarmi un esperto di etica cattolica e mi sollecitò a smetterla di raccontare la storia di miei parenti, di miei pazienti, ecc. Mi disse che era sleale. Risposi che Gesù stesso aveva insegnato sotto forma di racconti chiamati parabole. Questo incontro mi rese chiaro che il potere delle esperienze personali – di storie di vita reale – per trasmettere un messaggio è di gran lunga maggiore rispetto ad aride statistiche e a sterili dibattiti teorici.
Il nostro movimento per la vita raccoglie molte storie avvincenti, che si basano sulla realtà nuda e cruda, e promuovono una più profonda comprensione delle questioni coinvolte. Alcune delle nostre storie rivelano la spaventosa verità e l’agenda in espansione della “cultura della morte”. Altre storie sono lezioni ispiratrici sul valore della vera giustizia, della autentica compassione e dei veri principi morali. Queste storie mettono in luce ciò che l’amore, la fede, la speranza, il sostegno, l’altruismo e il rispetto per la vita possono compiere. Raccontando le nostre storie e quelle degli altri, stiamo contribuendo a resistere alla cultura della morte.
I genitori di Noah alla cultura della morte si sono nettamente opposti per ben due volte, e sebbene non potremo mai sapere quale sia stato l’impatto delle loro azioni, sono certa che almeno la mente di alcuni medici è stata aperta e non potrà mai dimenticare le lezioni di vita di Noah e di Liam.
Note:
1. “Abortion Provision Among Practicing Obstetrician– Gynecologists” by Debra B. Stulberg, MD, MAPP; Annie M. Dude, MD, PhD; Irma Dahlquist, BS; Farr A. Curlin, MD. Obstetrics & Gynecology: September 2011,118:3, 609-614.
Abstract online all’indirizzo:
journals.lww.com/greenjournal/Abstract/2011/09000/Abortion_Provision_Among_Practicing.16.aspx.
2. “Cornering the market on physician-assisted suicide” by Kenneth R. Stevens Jr. MD. Oregon Live. March 10, 2010.
Online all’indirizzo:
oregonlive.com/opinion/index.ssf/2010/03/cornering_ the_market_on_physic.html.
Traduzione a cura di Serafina Geraci
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese
di Nancy Valko – infermiera professionale di St. Louis, è una portavoce della National Association of Pro Life Nurses