Agli ultraliberal di Gayburg e dell’UAAR non dà fastidio tanto che in Italia esistano degli antiabortisti. Ciò che più irrita questi e altri gruppi sedicenti libertari è che possano esservi pro life che manifestano in piazza il loro pensiero. Persone che liberamente possono ancora dire: “L’aborto è omicidio”. “Ora et Labora in difesa della vita” è una di queste associazioni apolitiche, apartitiche e aconfessionali che, in particolare nel Nord Italia, senza alcuna “sponsorizzazione illustre”, da qualche anno portano avanti manifestazioni pacifiche, con veglie di preghiera per la vita nascente, volantinaggio e informazione su tutte le tematiche di bioetica.
La loro presenza è diventata così costante che qualcuno ha iniziato a sentirsi minacciato. Federico Emanuele Pozzi, il medico trentenne che ha aggredito due manifestanti davanti all’ospedale San Gerardo di Monza, è recidivo. Secondo quanto riferiscono i volontari di Ora et Labora, già lo scorso 15 gennaio, il giovane specializzando aveva insultato il gruppo pro life, che è solito recarsi davanti all’ospedale ogni due venerdì. Questa volta però, il dottor Pozzi ha dato ancor più in escandescenze, alzando le mani contro un volontario, peraltro ultrasettantenne.
Intervenuto a difesa dell’amico, Giorgio Celsi, è stato aggredito a sua volta, rimediando un’escoriazione alla mano, giudicata guaribile in dieci giorni. Ancora profondamente scosso dall’accaduto, Celsi è stato raggiunto telefonicamente da Pro Vita & Famiglia, a cui ha svelato in esclusiva alcuni particolari della vicenda.
Celsi, avete sporto denuncia al vostro aggressore?
«Dovrei andare oggi, ieri in commissariato c’era troppa fila».
A quanto pare, non era la prima volta che questo medico se la prendeva con voi…
«Confermo, il 15 gennaio, ci aveva già aggredito, anche se solo verbalmente. Stavolta è passato alle mani. Quando ho visto che stava picchiando Virgilio, il volontario che era con me, ho dovuto bloccarlo… Potevo forse rimanere fermo? Nella colluttazione, mi sono fatto male io, l’aggressore non si è fatto nulla. Mi ha preso a calci e pugni ma prima ha minacciato Virgilio, gli ha messo le mani al collo e l’ha spintonato. Io l’ho fotografato al volo per identificarlo, allora lui si è irritato e ha iniziato a picchiare me».
Alcuni siti d’informazione affermano che gli aggressori sareste voi. Lei cosa risponde?
«Siamo noi che siamo stati aggrediti, i testimoni ci sono. Gayburg sarà denunciata per diffamazione e anche l’UAAR rischia lo stesso. La polizia è venuta dopo che l’abbiamo chiamata ma credo che anche le telecamere dell’ospedale confermino la nostra versione dei fatti. La cosa incredibile è che il dottor Pozzi, a sua volta, ha denunciato noi… ma per cosa?».
Quante altre volte siete stati aggrediti durante le vostre manifestazioni?
«Svariate volte e non è la prima volta che mi aggrediscono fisicamente qui a Monza. È capitato anche davanti alla clinica Mangiagalli».
Secondo lei per quale motivo siete presi così tanto di mira?
«Semplicemente, dà fastidio che parliamo d’aborto. Però, perché reagire in quel modo? Se non sei d’accordo, fai anche tu una manifestazione ma non venire a infastidire i miei volontari!».
Vorrebbero escludervi dalla pubblica piazza, dunque…
«Certo. Se ci limitassimo a distribuire pannolini alle gestanti in difficoltà non succederebbe nulla. Se rimani sul vago, non disturbi più di tanto. Noi però denunciamo a voce alta una cosa che dà molto fastidio alla loro coscienza: l’aborto è l’uccisione di un bambino. Un po’ come fa Pro Vita & Famiglia con le sue campagne: cosa c’è di strano nel mostrare l’immagine di una donna svenuta con una mela in mano e, al contempo, sottolineare che la Ru486 è un veleno? È una verità lapalissiana, non c’è nulla di “terroristico” nel dire questo. Se non dai fastidio alle loro coscienze, di sicuro non ti attaccheranno. È come se volessero nascondere un cadavere… Invece, poi attaccano noi, un po’ come fanno quelli che strappano i cartelli di Pro Vita & Famiglia. Con quale diritto, però? A me non verrebbe mai in mente di strappare i cartelli a favore dell’eutanasia, che vedo in questi giorni in metropolitana».
Che insegnamento possiamo trarre, in conclusione, da questa storia?
«Questi episodi non ci danneggiano, al contrario ci avvantaggiano. Sveliamo qualcosa di scomodo, che altri vorrebbero nascondere. Credo per i pro life non sia più tempo di stare sulla difensiva, dobbiamo andare all’attacco, altrimenti questa guerra la perdiamo».