Nicolas Kristof, giornalista del New York Times, sostiene, nella sua rubrica, che polli e oche dovrebbero essere trattati in maniera più umana.
Kristof parla della sua esperienza, quando da piccolo si trovava nella fattoria di famiglia, dove un’oca è stata macellata per la tavola. Il mio lavoro, da ragazzo di undici anni, era quello di catturare un uccello e portarlo al patibolo, appena mio padre brandiva l’ascia. Dovevo, anche terrorizzato, correre dietro le oche e afferrarne una, ahimè, sfortunata.
L’uccello tra le mie braccia emetteva il lamento del terrore e cercava di fuggire mentre le altre oche si rannicchiavano in un angolo della stalla. Una di queste venne in avanti verso di me, per sostenere la sorte della sua compagna.
Sono stato impressionato, fin da bambino ed ho avuto il coraggio di chiedermi se questi animali sono in realtà superiori moralmente all’essere umano. Ciò non è moralità, ma è biologia. E per questo motivo, le oche non possiedono nobiltà d’animo. Le oche non sono esseri con una morale, non conoscono il comportamento giusto o sbagliato, non rendono e non mantengono le promesse, non possono scegliere tra fedeltà ed infedeltà; si accoppiano a causa di un imperativo biologico.
Kristof non vuole “disprezzare” gli animali, ma vuole “descrivere le cose come sono in realtà, in quanto di questi tempi ci si può mettere in un mare di guai”.
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese
di J. Smith Wesley