Anche se non è dato sapere quanta visibilità mediatica avrà la ricorrenza, una cosa è certa: oggi, 15 maggio 2020, non è un giorno qualsiasi, anzi. È infatti la 26esima edizione della Giornata Internazionale della Famiglia, evento istituito nel 1994 dalle Nazioni Unite. Pur con tutte le cautele dovute a una Giornata istituita dall’Onu, organismo il cui favore verso l’abortismo e la pianificazione familiare è cosa tristemente arcinota, l’appuntamento merita attenzione se non altro perché consente di riflettere – una volta tanto anche oltre il perimetro cattolico – sulla «cellula fondamentale della società».
Un istituto molto caro a ProVita & Famiglia, che proprio alla famiglia ha dedicato – in aggiunta al suo impegno quotidiano nell’informazione - un apposito Manifesto, articolato in una dozzina di punti tutti interessanti, ma i cui passaggi più significativi campeggiano tra i primi. Per esempio là dove si rammenta come, ben lungi dall’essere una questione privata, la famiglia è «bene comune» perché «è la prima scuola di educazione e di affetti, è paradigma di tutti i legami umani e migliora le persone formandole alla vita comunitaria».
Non meno rilevante è il secondo punto del Manifesto, che sottolinea come la famiglia sia anche un «bene economico» dato che «non è vero che l’economia è basata esclusivamente sull’egoismo: i contratti si fanno, sì, in base alla convenienza, ma è imprescindibile anche la fiducia nella controparte»; e si dà il caso che la famiglia sia, appunto, anche una scuola di fiducia. Senza naturalmente poi dimenticare - sempre restando al valore comune ed economico – come l’istituto familiare sia la premessa demografica al futuro della società. La denatalità, infatti, produce crisi economica e dalla denatalità si può uscire solo in un modo: con più figli e, prima ancora, più matrimoni.
Questo della demografica è un aspetto centrale che anche la Federation of Catholic Family Associations in Europe, lo scorso 6 maggio, in una videoconferenza, ha tenuto a sottolineare. Ma non si pensi che occorra esser cattolici, magari conservatori, per convincersi che la famiglia sia la premessa alla rinascita demografica di un Paese. È notizia di questi giorni come un Paese a maggioranza buddista e per giunta con al potere un partito comunista – il Vietnam – ha deciso, proprio per vincere l’inverno demografico, di promuovere il matrimonio tra le giovani coppie prima dei 30 anni, incoraggiando le mogli ad avere il secondo figlio prima del trentacinquesimo anno di età.
Ora, siccome il Vietnam, come detto, tutto è fuorché un Paese cattolico, sarebbe bene che ciò stimolasse una riflessione. Da questo punto di vista, la 26esima edizione della Giornata Internazionale della Famiglia potrebbe quindi rappresentare l’occasione di una riscoperta del valore di quella che i Padri Costituenti, dimostrando grande acume e mirabile onestà intellettuale, chiamarono la «società naturale fondata sul matrimonio».
C’è tuttavia però da registrare, al momento, come di siffatta riscoperta manchino completamente i segnali, dato che anche il recente decreto «Rilancio» varato dal governo – per stare all’Italia – alla famiglia lascia le briciole, con solo alcuni pallidissimi aiuti economici. Briciole, appunto, che dimostrano una miopia molto grave da parte delle istituzioni. Aiutare le famiglie, infatti, non significa generare sacche di assistenzialismo ma, al contrario, aiutare quella «cellula» in assenza della quale tutto il «corpo», quindi tutto il Paese, rischia il tracollo.
A tal proposito, è bene ribadire che l’importanza collettiva della famiglia come bene comune non è certo nuova, anzi: si tratta di un dato oggettivo assodato da tempo ma che però, in questa fase, acquista un peso che, se prima era già rilevante, ora diviene semplicemente decisivo. Per un motivo semplice, e cioè che il bivio in cui ora ci troviamo non è tra sostengo o meno alle famiglie, bensì tra futuro e assenza di futuro. E dispiace che tanti ancora non se ne siano accorti, ma chissà che la Giornata Internazionale della Famiglia non faccia miracoli. Mai dire mai.