Domenica 5 febbraio si celebrerà la 45ª Giornata Nazionale per la Vita. Il tema di quest’anno – come sempre proposto dalla CEI - è «La morte non è mai una soluzione». Per l’occasione anche Pro Vita & Famiglia si è mobilitato con una serie di affissioni nelle principali città italiane per ribadire come la vita sia sempre degna, in qualsiasi sua fase o condizione (dal nascituro al malato, dal disabile alla donna incinta, passando per la dignità che devono avere le vite di migranti, persone con Sindrome di Down, anziani, giovani, adulti). Sul tema abbiamo intervistato monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo.
Eccellenza, a proposito del tema della prossima Giornata nazionale per la vita, in questo nostro tempo sembra che il peso del dolore sia insopportabile e sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte. Secondo lei, il suicidio assistito o l’eutanasia rispettano la libertà di chi li sceglie o manifestano una scelta di reale affetto verso il malato in difficoltà?
«La mia risposta è no e credo che la mia risposta debba e possa derivare da una concezione della vita che non sia limitata ad una prospettiva pericolosamente ridotta e che, purtroppo, oggi va dilagando. Occorre, per poter dare una risposta adeguata, soffermarsi a riflettere, sia dal punto di vista filosofico-antropologico, sia dal punto di vista biblico e religioso, tanto sul senso della vita, quanto sul significato della libertà. Allora, per quanto riguarda il senso della vita, ovviamente è sbagliata la visione della vita che si fermi al dato puramente ideologico. Quindi, l’uomo non è solo un animale che ha bisogno esclusivamente di supporti materiali: la casa, il cibo, il vestito ecc. ma l’uomo, chiaramente, ha una dimensione fondamentale che è quella relazionale, con Dio e con gli altri esseri umani e, attraverso questa dimensione relazionale, diventa capace di riscoprire il senso della propria esistenza che conduce ad un orizzonte che va oltre la visione terrena e temporale. Quindi il senso della vita è qualcosa di molto più abbondante e ricco del dato puramente ideologico».
Oggi il concetto di libertà fa sempre più rima con “autodeterminazione” ...
«Altro discorso è sul senso della libertà propagandata come il diritto all’autodeterminazione, concetto insufficiente a spiegare cosa sia la libertà. Noi non possiamo fare l’errore di subordinare la verità alla libertà, ma è piuttosto vero il contrario. Se la vita ha un senso e un suo statuto, allora la libertà vera consiste nella possibilità di perseguire il fine autentico della vita e non di deciderlo in maniera arbitraria e autonoma. Questi filoni di riflessione portano a concludere che la vita sia un bene indisponibile per l’uomo stesso. È il suo tesoro, è il suo destino, ma l’uomo non ne può usare a suo piacimento, piuttosto deve assecondare il percorso della vita concorrendo a dare compimento. Per cui, è chiaro che la prospettiva eutanasica si limita a considerare la vita come un bene da fruire, a determinare degli standard di godibilità che dipendono da fattori esterni: buona salute, le risorse economiche ecc. Pertanto irragionevolmente si può concludere che, quando qualcuna di queste condizioni vengono meno, la vita non abbia più una dignità e una ragione per essere vissuta. In questo senso il tema della giornata della vita richiama questo tipo di riflessione: la morte non è mai una soluzione, non è una via d’uscita. La morte dal punto di vista biologico è il termine dell’esistenza terrena, ma dal punto di vista antropologico, etico e religioso, è un passaggio che non ha soltanto un significato puntuale, ma che va preparato nel tempo della vita terrena e che apre ad un compimento ultraterreno».
L’auspicio dei vescovi, come si legge nel loro comunicato, è che questo appuntamento «rinnovi l’impegno dei cattolici a smascherare la ‘cultura di morte’ e la capacità di promuovere e sostenere azioni concrete a difesa della vita, mobilitando sempre maggiori energie e risorse». Tuttavia viene da dire che la promozione della vita non debba essere considerato come un problema meramente dei cattolici... che ne pensa?
«Certamente. Il cattolico è chiamato ad operare nel contesto umano, della convivenza umana e a diversi livelli, sia come credente che come uomo. Quindi il discorso sulla promozione della vita non vede coinvolti solo i cattolici, ma essendo la vita un bene fondamentale per ogni uomo e avendo la vita una sua configurazione antropologica ed etica che è nel patrimonio di tutti, tutti sono responsabili nel riconoscere la dignità della vita, nel tutelarla e nel promuoverla. Il cattolico, condivide questa comune condizione umana relativa al valore della vita e in forza della sua fede può aggiungere anche elementi ulteriori di comprensione del mistero dell’esistenza. Per cui io trovo che l’impegno del cattolico non sia da separare dall’impegno comune di tutta l’umanità. In più in forza del dono della fede il cattolico deve offrire un apporto particolare».
Il valore della vita oggi non è ancora accolto come bene essenziale per la collettività. Come mai, secondo Lei?
«Le ragioni possono essere molteplici, tra queste c’è l’egoismo dell’uomo che tende a comportarsi da padrone degli altri e nei confronti del bene della vita stessa. Poi venendo più alle caratteristiche della nostra epoca, ci sono delle premesse di carattere filosofico e ideologico che riducono pericolosamente la comprensione del mistero della vita e sono quelle concezioni che mettono in maniera esasperata l’uomo al centro, come se fosse lui il criterio per comprendere e decidere tutto e sono quelle dottrine filosofiche che riducono l’orizzonte della vita, all’ambito puramente terreno e materiale e queste premesse di carattere filosofico hanno attraversato varie epoche, inficiando i vari ambiti dell’attività umana: la cultura, la politica, l’organizzazione sociale e purtroppo producono degli esiti nefasti che sono quelli che noi vediamo come l’atteggiamento indebitamente padronale sul bene della vita».