Come responsabile della politica del National Right to Life, la maggior parte delle persone è solita sentirmi parlare di attivismo politico ed elezioni. Quest’anno, oltre ai workshops politici, ho preso parte alla 43esima Convenzione Nazionale Annuale sul Diritto alla Vita tenutasi a Dallas, e ho preso la parola a tre workshops per condividere coll’uditorio gli effetti devastanti che i miei aborti hanno provocato su di me e sulla mia famiglia.
Chi avrebbe mai potuto immaginare che le tragiche scelte che ho fatto quando ero adolescente, di abortire due bambini, mi avrebbero condotto ad incontrare il movimento pro life?
Nove anni dopo il mio primo aborto, tre dopo il secondo, ho iniziato ad aver incubi; e ho realizzato che gli aborti dei quali avevo fatto esperienza avevano devastato la mia vita. Da quest’esperienza ho appreso come problemi di senso di colpa, bassa autostima, tendenze suicide, incubi e alcol sono oggi non così infrequenti tra le donne che abbiano praticato aborti.
Ho desiderato perciò aiutare le donne che affrontavano gravidanze indesiderate, e mi son ritrovata coinvolta nel movimento, dove ho incontrato molte altre donne le quali avevano avuto aborti. In quella sede, allorché abbiamo iniziato a condividere le nostre storie, abbiamo iniziato a scoprire che ciascuna di noi si è sentita così sola e morsa dai sensi di colpa e che tutte le nostre storie avevano uno spaventoso elemento in comune: abbiamo fatto esperienza della cosiddetta Sindrome Post Aborto.
Fortunatamente, ora esistono dei gruppi di assistenza post aborto, un porto sicuro per le donne, dove ciascuna può scoprire di non essere sola e dove può affrontare la propria afflizione, accettare il perdono ed, infine, perdonare se stessa e gli altri.
Non appena ho iniziato a superare la mia condizione di trauma, ho potuto prender coscienza del fatto che gli aborti non solo avevano rovinato la mia di vita, ma che essi avevano al contempo profondamente segnato anche quella di coloro che erano i miei affetti più cari, i miei figli, i miei genitori. Per esempio, ciascuno dei miei figli è venuto a sapere dei miei aborti in maniera differente: quando mia figlia aveva appena nove anni, casualmente mi sentì parlare dei miei aborti, e alle lacrime seguirono le domande. Mi chiese: “Mamma, hai mai pensato e voluto abortire anche me?” Sono stata così grata al cielo di poter guardare nei suoi meravigliosi occhi blu e rispondere: “Mai. Mai e poi mai mi ha lontanamente sfiorato il pensiero di abortire anche te.”
Sebbene, essendo bimba, ella trovò gran conforto da questa risposta, quando crebbe, sfortunatamente, comprese bene che sarebbe stato molto facile abortire anche lei. Io ora ho cinque figli: Brandi, Jami, Erik, Christopher and Michael.
Inizialmente, ero in collera con mia madre poiché mi aveva spinto al primo aborto: volli – o, per meglio dire, ebbi bisogno – di incolparla, e per anni non riuscii a figurarmi il suo dolore. A volte ella pianse amaramente per me e per il dolore che provai, a volte per il suo nipotino che non ha mai avuto.
Poi ho preso coscienza ed accettato la responsabilità di ciò che è successo e ci siamo perdonate l’una l’altra.
Dopo tutti questi anni, non ho ancora smesso di dover affrontare quel dramma. Difatti, quando ho avuto il mio primo nipotino, ho capito che a suo tempo io non ho abortito due bambini, ma due generazioni di bambini.
Vi ho raccontato la storia di mia madre e di mia figlia per mostrarvi come i miei aborti son divenuti parte della mia vita: la mia storia. Storia, sfortunatamente, non isolata.
Infatti, ci sono stati più di 55 milioni di aborti negli Stati Uniti dal 1973. Ciò significa che, ovunque tu vada, lì c’è qualcuno che ha preso parte ad un aborto: possono averne avuto uno (o più) in prima persona, o possono aver pagato per esso, o possono aver portato le proprie sorelle, figlie o fidanzate ad abortire.
In ogni Convention, incontro persone profondamente sofferenti a causa di un aborto: genitori, nonni, fratelli o amici di bambini son stati abortiti...
Spesso sentiamo snocciolare dati statistici intorno all’aborto, ma dobbiamo tener sempre presente che dietro un numero, un rilevamento statistico, ci sono persone e famiglie cambiate per sempre. Perciò, vorrei offrire un consiglio ai miei amici pro life: nel vostro zelo nel proteggere la vita, vi prego, scegliete sempre con attenzione le parole cui fate ricorso.
Quando si sente dire: “Non riesco proprio a capire come si possa uccidere il proprio bambino”, chi ha preso parte ad un aborto non può di certo apprezzare che ci si riferisca a lui. Tenendo a mente ciò, quando discorrete di aborto, non mancare mai di mostrare alle persone come anche dopo un aborto possano esserci perdono e guarigione.
Non potremo mai sapere quanto profondamente l’aborto stia segnando la nostra cultura, la nostra civiltà: ci sono milioni di donne e di famiglie che hanno bisogno di guarire. Noi dobbiamo continuamente desiderare di tender loro le braccia ed abbracciarli fraternamente con amore incondizionato.
Traduzione a cura di Veronica Palladino
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese
di Karen Cross