«I dipendenti di Google chiedono all’azienda di aggiustare il motore di ricerca, in modo che Google Maps non indichi le strutture che propongono alle donne di non ricorrere all’aborto». E’ questa l’incredibile denuncia che Martino Cervo, nei giorni scorsi, ha sferrato contro una delle aziende più famose al mondo dalle pagine del quotidiano La Verità.
Dopo aver spiegato la diffusione dell’abortismo odierno come frutto maturo dell’edonismo occidentale, il vicedirettore della Verità parla di una recente missiva, sottoscritta da molti collaboratori del sito web più frequentato al mondo.
In essa, dopo aver richiesto l’uguale trattamento per i circa 300.000 dipendenti, si pretende che la direzione di Google calibri e modifichi «gli esiti delle ricerche sul proprio motore di ricerca in modo da escludere dalla mappa le strutture che non praticano aborti». In pratica si chiede la censura ad un motore di ricerca!
E questo perché, secondo i sottoscrittori della lettera, Google Maps avrebbe il grave torto di indirizzare «chi cerca cliniche per abortirte» verso tenebrosi «centri religiosi pro life». Giova sapere che l’America, oltre a una legislazione piuttosto “avanzata” in fatto di aborto e di presunta “salute riproduttiva” della donna, ha anche al suo interno un fortissimo movimento pro life. Animato da tantissimi giovani, ragazzi e ragazze. Il quale, oltre a vincere battaglie fondamentali, come quella del giugno scorso con il ribaltamento dell’iniqua sentenza del 1973 (la famosa “Roe vs. Wade”), gestisce molte cliniche, centri medici e ospedali che curano e guariscono i propri clienti, esattamente come tutti gli altri.
Con una bella particolarità: queste case di cura non si rendono responsabili né di aborti né di eutanasie o di suicidi assistiti.
Oscurare queste cliniche, molto diffuse in alcuni Stati, è un atto basso e immorale, che certamente danneggia i cittadini. E danneggia pure le donne in dolce attesa. Le quali, non raramente, dopo un colloquio con un medico coscienzioso e la visione del proprio bambino su uno schermo, di cui magari può già ascoltarsi il battito cardiaco, compiono l’unica scelta etica possibile: accettano la vita nascente come un dono. Dono di cui nessuna donna si è mai pentita in seguito, al contrario dei numerosi (e coraggiosi) pentimenti di chi ha soppresso il nascituro.
Al momento non si ha notizia della risposta di Google, ma c’è da temere il peggio, visto che già qualche mese fa l’azienda americana ha già «garantito che cancellerà la cronologia della posizione dei cellulari di chi sceglie di abortire». Per evitare ipotetiche noie legali negli Stati che difendono la vita dei bambini e delle bambine.
Spiace che la politica italiana, in questa estate rovente e piena di dibattiti, abbia accantonato il tema dell’aborto e della difesa della vita. Tema che si rivela decisivo per la demografia, la socialità, l’etica condivisa e lo stesso futuro economico del Paese.