Green pass e obbligo di vaccino, oltre ad essere questioni attualissime, sono argomenti che stanno infiammando gli animi e sono ormai alla base di non poche tensioni. Prendiamo ad esempio la misura ipotizzata per le scuole e che andrebbe a colpire i diversi operatori scolastici, insegnanti, personale ATA e amministrativi: per chi non ha il green pass sono previste sanzioni amministrative da 400 a 1000 euro e la sospensione dal servizio dopo il quinto giorno. Una misura discriminatoria anche per gli stessi studenti, che sarebbero esclusi – per chi non possiede la certificazione – dall’essere presenti in classe.
Non tutti stanno a guardare però, anzi Iustitia in Veritate, che è composta da un pool di professionisti di vari settori e discipline, sta già seguendo, sotto il profilo legale, chi risulta più colpito da queste misure. Da qualche giorno, sul sito dell’associazione, è possibile anche scaricare un apposito modulo di diffida ai dirigenti scolastici, a non procedere alle limitazioni previste dal DL 111 del 5 agosto 2021. Abbiamo voluto parlarne con la vicepresidente di Iustitia in Veritate, la dottoressa Wanda Massa.
Innanzitutto perché siete contrari al green pass?
«Per prima cosa vorrei chiarire che la questione del green pass non riguarda solo chi si è vaccinato e chi no. Per il semplice motivo che anche chi si è vaccinato ha capito che si tratta di un livello superiore di violazione delle proprie libertà fondamentali, tant’è vero che alle manifestazioni contro il green pass hanno partecipato anche persone che per convinzione o per forza hanno fatto il vaccino, ma hanno compreso che questa è una forma di dittatura digitale che si innesca sulla dittatura sanitaria. Praticamente i diritti più semplici: di movimento, di studio, ma anche, semplicemente, andare al cinema o ad un museo, non sono più diritti costituzionalmente riconosciuti ma devono essere concessi a tempo, perché anche chi usufruisce del green pass ha una forma di libertà concessa ma limitata nel tempo. Dunque la libertà diventa una concessione. Quindi si è compreso che c’è una forma di imposizione liberticida gravissima. Tra l’altro ci sono medici che hanno lavorato in unità covid e poiché sono stati vaccinati molto precocemente, presto si troveranno nelle condizioni di non poter accedere al green pass».
Nel vostro modulo, in riferimento alle ragioni della diffida citate l’art.3 della Costituzione che vieta le discriminazioni anche per “condizioni personali e sociali”.
«Questa è una delle tematiche che è stata più sollevata nelle manifestazioni contro il green pass. Ad un certo punto la gente ha compreso che si è introdotta una grave discriminazione, anche tra i ragazzi. Si rischia di creare episodi di bullismo, soprattutto dopo un anno e mezzo di segregazione forzata che ha prodotto degli effetti non certo positivi sulla loro psicologia».
Che effetti concreti avrebbe questa diffida?
«Innanzitutto è uno strumento che non conviene utilizzare prima dell’inizio della scuola perché uno deve prima capire com’è il contesto in cui si trova. Parliamo di una situazione incredibilmente confusa, i dirigenti scolastici vengono lasciati da soli, senza indicazioni. Quindi va utilizzata laddove ci siano fondati motivi e non a priori. Anche se è anche vero che ci sono pure presidi che hanno già iniziato da agosto a convocare i docenti e a chiedere il green pass, nonostante il decreto entri in vigore dal 1 settembre. Possiamo dire che la diffida è un modo per far prendere coscienza ai dirigenti scolastici dell’illegittimità di questo decreto legge, rispetto alla Costituzione. Dunque è un modo per far comprendere alle autorità scolastiche che potrebbero anche loro stessi disapplicare il green pass. Quindi, in primis serve a definire la posizione del docente e dello studente rispetto all’autorità che si sente in dovere di applicare questo decreto di green pass. Poi c’è la riserva di azione legale, perché qualora venisse comminata una sanzione al docente o allo studente si avvisa l’autorità che si procederà per vie legali, perché sono talmente tanti i punti di debolezza di questo decreto legge, proprio in ragione dell’incongruenza rispetto alla legislazione precedente che la strada è quella della resistenza. Insomma è un modo per far comprendere ai presidi che se applicheranno quanto è indicato in questo decreto legge, si esporranno comunque al rischio di denunce e azioni legali».