Le testimonianze di madri che hanno sperimentato l’aborto con la pillola abortiva a casa variano da inquietanti a terrificanti. Alcune riferiscono che il corpicino del figlio morto «galleggiava nell’acqua» o che l’hanno «espulso nel wc», altre affermano di averlo tenuto «in mano» e «averlo abbracciato», altre ancora raccontano di essersene liberate attraverso «lo scarico del water» o di averlo «messo in una scatola e seppellito». Inutile sottolineare che, se con altre procedure alla madre vengono risparmiati traumi di questo tipo, ella incorre comunque in traumi fisici e psicologici, e non è meno criminosa la soppressione del bambino in utero.
Quasi tutte le madri che hanno abortito con la Ru486 a casa, raccontano innanzitutto di aver sperimentato un tremendo dolore fisico durante la procedura e, poi, molte descrivono la sofferenza emotiva derivante dall’aver visto il figlio ucciso, caratterizzata da incubi, stress post-traumatico, sensazioni di perdita, vergogna e molto altro.
È la conseguenza dell’espansione dell’aborto chimico fai-da-te a domicilio che scarica tutto il processo abortivo sulle spalle della donna costringendola non solo ad affrontare in solitudine la dolorosa e traumatica procedura, inclusi i pericolosi eventi avversi, ma anche a vedere il corpicino del bimbo abortito, rendendosi purtroppo conto solo quando ormai è troppo tardi che quello che portavano in grembo era un bambino e non il grumo informe di cellule della tipica propaganda abortista.
Christina racconta che prendere la pillola abortiva «è stato un Inferno! Persino peggio del travaglio per il parto di mio figlio»; e aggiunge: «Due ore dopo aver preso la seconda serie di pillole ho espulso il bambino nel water. Quando mi sono girata era lì, nel sacco gestazionale e tutto il resto. Ho rotto il sacco e preso in mano il piccolo bimbo indifeso. Piangevo perché mi sentivo come se avessi ucciso una creatura innocente». Da allora - afferma - ha incubi «in continuazione». Christina si è resa conto troppo tardi delle menzogne che le avevano raccontato alla clinica Planned Parenthood dove aveva ricevuto le pillole per abortire a casa: «Mi avevano detto che il processo sarebbe stato semplice… e che non avrei visto nulla. Non hanno mai usato la parola “bambino”, ma solo “it” (esso) o “il tessuto” o “il processo”. Non mi hanno detto nulla sullo stadio di sviluppo, ma solo che sarebbe stato troppo piccolo perché vedessi qualcosa». Eppure lei ha visto il corpicino del figlio e ha potuto contare cinque dita su ogni mano… la foto che gli ha scattato non mente.
Elizabeth Gillet ha raccontato la sua storia nell’ambito di una causa federale del 2019 intentata contro la catena di cliniche abortiste Usa Whole Woman’s Health Alliance (Wwha). Nel fascicolo giudiziario si legge che dopo aver assunto il secondo farmaco del regime di aborto chimico, Elizabeth ha iniziato a sanguinare pesantemente: «Il dolore e il sangue erano tali che ho pensato che sarei potuta morire» - racconta -, finché non ha espulso il sacco gestazionale: «Era di un colore giallo trasparente, della dimensione e forma di una pallina da tennis. Quando l’ho preso in mano ho visto il bambino all’interno. Assomigliava a un piccolo orsetto gommoso. Mi sono seduta, l’ho abbracciato e ho pianto. Poi ho buttato mio figlio nel water». Successivamente Elizabeth ha avuto relazioni abusive e ha sofferto di anoressia e disturbo da stress post-traumatico che un terapeuta ha ricondotto in modo diretto all’aborto, sempre secondo quanto riportato nel fascicolo.
Anche la testimonianza di Leslie W proviene dalla causa contro la Wwha: «Quello che ho vissuto è stato terribilmente spaventoso e non ha nulla a che vedere con una semplice mestruazione. Il dolore che ho provato assomigliava più alle contrazioni di un travaglio che ai normali crampi del ciclo. Ricordo di essermi seduta sul water riversando sangue, mentre tremavo tutta e vomitavo». Poi - racconta - «sono entrata nella doccia per lavare via il sangue e, all’improvviso, ho espulso una grossa massa che ha ostruito lo scarico. Anche se sembrava un coagulo di sangue, ho capito subito che era il bambino. Non sapendo cos’altro fare, mi sono chinata per raccoglierlo e, in lacrime, l’ho gettato nel water». Nel fascicolo giudiziario si legge che successivamente ha sofferto di attacchi di panico e disturbo da stress post-traumatico che lei attribuisce all’aborto chimico.
La testimonianza di Monica è stata riportata in un articolo del Washington Post di ottobre 2022. Subito dopo aver assunto il misoprostolo - si legge nell’articolo - sono iniziati i crampi e un fortissimo dolore e, quando Monica «ha sentito un’irruzione di liquidi nella biancheria intima, è andata a farsi il bagno con i vestiti ancora addosso. Una volta sdraiata nella vasca racconta di aver avvertito un’espulsione e poi di aver urlato: il feto galleggiava sull’acqua - ha raccontato - era appena più piccolo del palmo della sua mano, aveva testa, mani, gambe, dita e piedi ben definiti». L’articolo riferisce che Monica «è saltata fuori dalla vasca ed è crollata tra le braccia del fidanzato», poi ha messo il bimbo in una scatola e, insieme, l’hanno seppellito sotto un albero del parco locale «sperando che un cane non ne sentisse l’odore». In seguito Monica ha «scoperto che il figlio abortito aveva le caratteristiche di un feto di 13 settimane, ben oltre il limite di dieci settimane stabilito dall’Fda per l’aborto chimico». L’incapacità di documentare accuratamente l’età gestazionale è uno dei rischi riconosciuti dell’aborto a domicilio senza supervisione medica.
Nel Regno Unito, per esempio, da quando il Ssn ha permesso l’uso della Ru486 a casa, sono stati documentati almeno dodici casi di bimbi abortiti che presentavano «segni di vita». A marzo 2022 la Bbc ha raccontato il caso di una sedicenne che, dopo l’assunzione della pillola abortiva a domicilio, ha espulso un figlio quasi completamente formato che non è sopravvissuto. L’ospedale nel quale è poi stata ricoverata ha concluso che era incinta di 20-21 settimane e non da meno di otto come lei credeva. «Se mi avessero fatto un’ecografia avrei saputo di essere così avanti nella gravidanza e l’avrei avuto», ha dichiarato la giovane piena di rimpianto.
Sempre dall’Inghilterra proviene la testimonianza di Natalia, che all’età di vent’anni ha abortito a casa con la Ru486, da lei personalmente raccontata in un video del 2021 della March for Life Uk. «Erano le cinque del mattino quando tutto è iniziato», è stato doloroso «come ricevere una pugnalata allo stomaco» e, dopo aver raggiunto a fatica il bagno, «ho espulso il bambino», racconta in lacrime. «Ho guardato in basso e l’ho visto. Non era una mestruazione pesante. Era un bambino. Ho guardato giù e poi ho alzato lo sguardo e non sono più riuscita a guardarlo. È un bambino. Non è un grumo di sangue», afferma commossa. Dopo «ho gettato il mio bambino nel water e ho tirato lo sciacquone… e sono caduta in ginocchio… Poi mi sono coricata, continuando a sanguinare fino a macchiare il materasso. Sono rimasta lì da sola per circa tre giorni, non volevo parlare con nessuno. Cercavo con tutte le mie forze di non pensare a quello che stava succedendo».
La testimonianza di Salome è raccontata nel libro Shockwaves: abortions wider circle of victims (Onde d’urto: l’aborto allarga la cerchia delle vittime) di Janet Morana, direttore esecutivo di Priests for Life e co-fondatrice di Silent No More, la più grande campagna di sensibilizzazione a livello globale rivolta a donne e uomini che hanno perso i figli a causa dell’aborto. Dopo aver preso la pillola abortiva - racconta Salome - «mi sono sentita come se mi strappassero le viscere dal corpo. Avevo tutte le gambe insanguinate e sono andata nella vasca per lavarle. Poco prima dell’espulsione, ho iniziato a vomitare. Poi ho continuato a sanguinare e a sentire un dolore ancora più forte. Per la prima volta dopo anni ho iniziato a pregare, raggomitolata nel sangue della vasca. Dopo molte ore di dolore ho finalmente sentito un enorme sollievo fisico e il dolore è scomparso. Mi sono alzata e, quando mi sono voltata, ho visto la cosa più straziante che abbia mai visto in tutta la mia vita: ho visto mio figlio. È stato in quel momento che finalmente ho capito: ero davvero incinta. Lo ero veramente. Fino a quel momento avevo accolto in me la vita che avevo creato». Salome racconta di essersi pentita immediatamente di quello che aveva fatto, di aver pianto per ore e di aver messo il corpicino del figlio morto in una scatola: «È stato come se una parte di me fosse morta. Ho provato rabbia e mi sono sentita in colpa. Mi è sembrato che mi crollasse il mondo addosso e che fossi la persona più orribile del mondo. Non potevo credere a quello che stavo vedendo: era la cosa più bella che avessi mai creato e l’avevo distrutta», racconta in lacrime.
Tammi Morris ha raccontato la sua esperienza con l’aborto chimico nella già citata causa contro la Wwha. Molte ore dopo l’assunzione - racconta - «il dolore e la sensazione di spingere erano così intensi» che si è seduta sul water e «ho spinto finché non ho sentito uscire qualcosa e ho avvertito un tonfo. Ho guardato giù e ho urlato: non era un grumo di cellule, avevo dato alla luce quello che appariva come un feto di 14 settimane completamente formato e intatto, ricoperto di sangue».
Poi, «ho recuperato mio figlio dal water, mi sono seduta a terra, l’ho tenuto in braccio e ho pianto» e - aggiunge - «non riesco a ricordare cosa ne abbia fatto dopo del mio bambino». Nel fascicolo giudiziario si legge che, dopo aver sanguinato per un tempo eccessivo, la clinica abortiva le ha consigliato di rivolgersi al pronto soccorso o al suo medico di famiglia, e che «dopo il trauma dovuto al fatto di aver visto il figlio nel water, la signora Morris è andata incontro a otto anni di alcolismo, al divorzio, a pensieri suicidari, attacchi di rabbia e depressione maggiore».
La testimonianza di Patricia si può leggere nel sito della già citata Silent No More. Patricia ha già un bimbo di sette mesi quando rimane di nuovo incinta e riceve da una clinica Planned Parenthood le pillole per abortire a casa. «Il medico mi disse che non vi era nulla di cui preoccuparsi, che avrei avuto delle perdite di sangue e forse di coaguli, e che le complicazioni della pillola abortiva erano rare», ma «un’ora dopo aver preso le pillole, ho capito che tutto quello che mi aveva detto era una bugia. Avevo un’emorragia così abbondante che credevo di morire. Espellevo coaguli grandi come palle da baseball e accusavo il peggior dolore fisico della mia vita, peggio di quello del parto». Ma non è ancora finita: «Il momento più brutto della mia esperienza è stato quando, seduta sul wc, ho sentito fuoriuscire uno strano coagulo. Ho guardato nel water e ho visto mio figlio: aveva la testa, il corpo, braccia e gambe minuscole. La vergogna e il senso di colpa che ho provato in quel momento, mentre ero costretta a eliminare mio figlio tramite lo sciacquone del wc, sono indescrivibili». Dopo l’aborto - continua Patricia - «mi è rimasta una depressione paralizzante» e, tre settimane più tardi, dopo essersi «svegliata in un mare di sangue» ha scoperto che aveva avuto un aborto incompleto che l’ha costretta a sottoporsi a una revisione della cavità uterina per eliminare i residui rimasti in utero. «Dopo essere guarita dalle complicazioni - continua Patricia -, stavo ancora annegando nella vergogna e nella depressione… e ho pensato che mettere al mondo un altro bambino mi avrebbe aiutata a guarire». Patricia ha quindi avuto una cosiddetta “gravidanza sostitutiva” - un noto fenomeno post-aborto mediante il quale si cerca di risolvere il dolore e lo stress di un aborto con una nuova gravidanza ravvicinata - e, l’anno successivo, ha partorito il suo secondo figlio, ma - conclude - «sebbene sia stata una grande benedizione… non è purtroppo stato in grado di riempire quel vuoto».
Concludo questa “rassegna dell’orrore” dell’aborto chimico con la breve testimonianza di Amber, da lei personalmente scritta nel sito pro life StandUpGirl.com: «Nessuno mi aveva preparata a quello che sarebbe successo. Come prima cosa, si è trattato in assoluto del peggior dolore che io abbia mai sperimentato in tutta la mia vita e, in secondo luogo, ho visto il mio bambino. Aveva già sembianze umane. Non avevo idea che il mio bambino potesse essere già così grande dopo soli due mesi. Solo perché non puoi vederlo o sentirlo dentro te non significa che non sia vivo».
Articolo di Lorenza Perfori già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n.118 - Maggio 2023