In Irlanda, la piccola Louise Kehoe, oggi di tre anni, ha vinto la scommessa, per quanto sfavorevole.
La sua affettuosissima mamma Jennifer ci racconta come lei e suo marito si sono sentiti giudicati folli per non aver scelto l’aborto, ma di quanto ne sono contenti. La sua testimonianza serva a rincuorare i genitori che si trovano a dover portare avanti delle gravidanze difficili, con delle diagnosi infauste.
A Jennifer e John Kehoe era stato detto che la piccola avrebbe avuto poche possibilità di sopravvivenza al di fuori dal grembo. Se anche fosse sopravvissuta, la qualità della sua vita sarebbe stata compromessa.
(Una “vita non degna di essere vissuta”, concetto caro agli scienziati nazisti, ricordiamolo).
Ma Jennifer ha dichiarato che se avessero proceduto con l’interruzione di gravidanza non avrebbero mai avuto l’esperienza di come “la loro deliziosa piccola bimba” li avrebbe “sommersi d’amore”.
Alla figlia dei Kehoe era stata diagnosticata una grave malformazione cerebrale congenita chiamata “Sindrome di Dandy-Walker”, e un difetto cardiaco: una situazione molto simile a quella della piccola Lucy, dei musicisti Anna e Gianluca: Notizie Pro Vita ne ha organizzato con successo la rappresentazione teatrale a Benevento e a Roma nel marzo e aprile scorsi: http://www.prolifenews.it/attivita/benevento-sul-fronte-della-vita/
http://www.prolifenews.it/economia-e-vita/a-roma-una-festa-vera-la-festa-di-lucy/
La sindrome di Dandy Walker colpisce un bambino ogni 2500, comporta grave ritardo nello sviluppo cognitivo e motorio e idrocefalia.
La coppia ha raccontato che non appena queste anormalità vennero identificate, il loro ostetrico si offrì di scrivere una lettera per farli andare in Inghilterra e interrompere la gravidanza: “Chiunque al vostro posto andrebbe ad abortire”, aveva detto. Jennifer, che a 42 anni aveva già cinque bambini e aveva avuto diversi aborti spontanei, si è sempre categoricamente rifiutata di prendere in considerazione l’aborto volontario. Così Jennifer e John, che è un medico di base, hanno deciso di dare alla figlia una possibilità di vita, per quanto lunga o breve potesse essere. Inizialmente Jennifer credeva che la bimba che portava in grembo dovesse morire presto. Poi ha cominciato a sperare di arrivare almeno a 24 settimane di gestazione, per ottenere almeno un certificato di nascita, nel caso la bimba non ce l’avesse fatta. Poi, quando le hanno offerto l’indirizzo di uno psicologo specializzato nell’elaborazione del lutto, ha cominciato a sperare con tutte le sue forze: la sua bambina ce la doveva fare. Contro tutte le previsioni, contro tutte le probabilità.
Hanno fatto l’amniocentesi, e lì non si è rivelata alcuna anomalia cromosomica. Poi si sono rivolti a un cardiologo specializzato, che li ha rincuorati dicendo loro che non era uno dei casi peggiori che avesse visto. Jennifer e John hanno avuto il coraggio di opporsi ai consigli del ginecologo (non hanno voluto dire in quale ospedale), ma hanno provato di persona che non conta essere pro life o pro choice: quel medico non aveva dato loro alcuna “scelta” (choice), alcuna alternativa. La bambina disabile sarebbe stata un peso per loro e per la società e basta: non doveva nascere. L’ultima cosa che gli ha detto è stata: “50% di mortalità entro i cinque anni.”
E invece Louise a tre anni ha già affrontato con successo tre operazioni cardiache: tutto è andato bene e il suo sviluppo cognitivo è nella norma. “Se avessimo abortito” ha detto Jennifer “;Non avremmo mai saputo che Louise stava per sfidare tutte le previsioni, che stava per sfidare i suoi geni e che lei sarebbe diventata una deliziosa bambina che ha raggiunto tutti i traguardi che la vita le ha posto dinanzi “;: la aspetta una vita lunga e normale.
Traduzione con adattamenti a cura di Francesca Romana Poleggi
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da Independent
di Claire Murphy