19/03/2014

I medici cattolici: no a prescrizione nei consultori

I medici cattolici contestano il parere del Consiglio sanitario della Regione Toscana che «promuove l’effettuazione dell’aborto medico in consultorio, senza la indispensabile continuativa assistenza medica e senza alcuna norma regolatoria di prudenza». La stigmatizzazione in una nota ufficiale del presidente nazionale,  il barese prof. Filippo Maria Boscia.

«Il documento della Regione Toscana – scrive – nella sua rozza intrusione non tiene spregiudicatamente per nulla conto dell’obiezione di coscienza sia dei prescrittori sia dei farmacisti erogatori della RU486. L’aborto determinato dalla RU486 non può avere radice in un Consultorio, notoriamente istituito per legge al fine di promuovere una nuova vita, offrendo accorta informazione sui metodi utilizzabili ove non più accettata. In considerazione di questa banalizzazione della procreazione umana e della problematica dell’aborto si evince una totale mancanza di consapevolezza circa la gravità delle molteplici situazioni di rischio che potrebbero venire a crearsi».
Per Boscia il rischio è che la donna non più assistita incontra dopo la somministrazione del farmaco viene posta in «uno status di imprudente solitudine non potendo disporre di un sicuro e pronto aiuto medico al bisogno. Lasciar sola una donna per garantirle libertà e autonomia e farle realizzare un aborto in totale solitudine e senza alcun sostegno psicologico, oltre che sanitario, in situazioni di emergenza è un vero e proprio atto di violenza».
Secondo l’Amci, la decisione del Consiglio Sanitario della Toscana non è presa nel rigoroso rispetto della legge 194, anzi ne risulta in aperto contrasto. «L’articolo 8 della legge 194/78 cita testualmente che “Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione”». Da qui la domanda: «Dove e in quale realtà territoriale esistono poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati e funzionalmente collegati agli ospedali con requisiti di un servizio ostetrico-ginecologico di un ospedale generale? I consultori e i poliambulatori  italiani non hanno per nulla queste caratteristiche».
Per l’Amci, insomma «Occorre sì valorizzare lo specifico territoriale dei consultori, ma anche riaffermare la loro centralità come luoghi di counseling e non come strutture medicalizzate,  che viceversa non rispettano la precipua vocazione di essere opportune realtà sociali di base, capaci di creare idonee integrazioni a più livelli anche con i servizi del volontariato sociale».

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

Festini

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