Il 2 luglio appare sul Corriere online un curioso articolo: “Cosa ci rende un uomo o una donna? La sfida trans gender alla nostra identità”, scritto da Elena Tebano.
Esordisce informandoci che “Mai come negli ultimi mesi le persone transgender sono diventate visibili. E popolari: Caitlyn Jenner (fu Bruce), 65 anni, ha battuto ogni record su Twitter, guadagnando un milione di follower in sole quattro ore e sottraendo il primato della crescita più veloce di sempre al presidente Usa Barack Obama”.
Sarebbe il segno di un nuovo fenomeno che sta emergendo nella vita sociale: “l’emergere di una identità a lungo marginale dagli angoli della devianza sociale a cui era stata relegata”. Pare che sia il caso anche in Italia: “abbiamo scoperto la determinazione di giovani ragazzi e ragazze transgender decisi a far valere la loro identità più profonda, mettendo in questione assunti che (quasi) tutti diamo per scontati, a cominciare dal linguaggio“.
Il transgender, che, come ci informa sempre il Corriere, è una persona la cui identità di genere è discordante rispetto al proprio sesso biologico, ci spingerebbe a chiederci cosa vuol dire essere un uomo o una donna.
Il Corriere risponde alla domanda rimandando a una specie di glossario “Da cisgender a genderqueer: il glossario delle identità di genere” in cui definisce termini come “sesso”, “genere”, “identità di genere”, “genderqueer”. Ma essere “uomo” o “donna” dipende dal sesso biologico, come noi (sicuramente retrogradi, oscurantisti, omofobi e transfobici) tendiamo a pensare?
Non proprio. La domanda “chi sei?” a cui può (dico “può” perché ci sarebbero altre alternative) corrispondere la risposta “sono uomo” o “sono donna” non viene risolta guardando al sesso biologico ma alla identità di genere. Infatti il glossario definisce l’identità di genere come: “Senso soggettivo di appartenenza alle categorie di maschile o di femminile. Esempi : «Sono una donna», «sono un uomo», transgender (oppure «sono femmina», «sono maschio» in senso di genere)”. Identità che può non coincidere con il sesso di nascita.
Altra interessante definizione è quella di “Gender queer”: “un’identità di genere che non si riconosce nell’opposizione binaria maschio/femmina, ma ritiene che l’identità di genere sia l’espressione di uno spettro infinito di possibilità. I genderqueer possono talvolta definirsi anche come «terzo genere» o come «genere neutrale». Tra le varie espressioni genderqueer ci sono le persone genderfluid, che hanno un’identità sessuale fluida: sente di poter passare dal genere femminile che a quello maschile e di appartenere a entrambi. Un’identità di genere che non si riconosce nell’opposizione binaria maschio/femmina, ma ritiene che l’identità di genere sia l’espressione di uno spettro infinito di possibilità”.
Nessun problema naturalmente. Tutto normale.
Scusi Mr. Corriere, non starai per caso promuovendo “l’inesistente” teoria gender?
Redazione