05/02/2013

Il dono della vita: un’unica scelta possibile

Tra i post di un social network, un commento si distingue e mi colpisce, aprendo una riflessione su un tema che da sempre naviga nella mente umana: il dono della vita può essere rifiutato o va sempre accolto?

Dono, vita, cresce e dentro-sé sono le quattro parole che, emozionandomi, hanno fermato il mio mouse dallo scorrere i post della giornata dei miei amici Facebook. Il commento di una giovane, incinta e prossima al parto, si riferiva a un articolo da lei postato; le sue parole, riassunte, esprimevano il concetto che l’incredibile dono della vita che cresce dentro sé non può in nessun caso essere confrontato con ciò che più conviene.
Un dono lo riceviamo gratuitamente e possiamo accettarlo, comprendendone il valore, incredibile come in questo caso. La vita è bella e semplicemente unica; accanto a essa, da sempre e in ognuno, l’idea di morte, che nelle parole della donna in attesa non trova, ancora, spazio. Cresce è un movimento, presente e futuro, ma anche un’immagine, dell’essere che matura e di quel nutrirsi di amore condiviso che permette a una nuova vita di evolvere e all’altra di acquisire un importante ruolo. Dentro-sé: nella protezione dello spazio corporeo più profondo, quella vita, che cresce e matura attraverso la propria madre, le appartiene e, dalla loro stessa simbiosi, entrambe – lei e la vita adulta che l’ha accolta – dovranno separarsi allo scadere dei nove mesi: forse pochi per terminare quel miracolo di emozioni silenziosamente vive.
La frase della futura mamma si chiude nella forza insita al dono della vita, che non teme confronti né avversari di alcun tipo.
In effetti, cosa potrebbe mettere in dubbio l’importanza di un’esistenza?
La ragazza si riferiva alla triste realtà, denunciata nell’articolo – taciuta o meglio conosciuta come un piccolo, orrendo segreto – della scelta, nelle gravidanze multiple a seguito di fecondazione assistita, di ridurre selettivamente il numero di embrioni da portare a termine. Magari per ragioni di stile di vita – quello che la famiglia potrà permettersi con due o tre figli “di troppo” rispetto a quelli programmati – mascherate da motivazioni sanitarie quali le difficoltà nel portare avanti una gravidanza impegnativa.
Ecco che il presunto potere dell’uomo e il progresso della medicina sono arrivati trascinando l’ombra spessa della non-vita. Lontano da riflessioni infinite sull’essere zigote, embrione e feto – tutte creature dei tempi che si susseguono dal concepimento –, l’idea di tagliare l’esistenza a ciò che già vive, possibilità consentita dalla normativa nei limiti previsti, se valutata, davvero trova tutto lo spazio e il tempo necessari per pesarne le implicazioni presenti, future e per essere consapevoli del rifiuto del valore di quel dono che si sta ricevendo?
Ernst Mayr, biologo e genetista, affermava che la vita non esiste come realtà indipendente, perché è la reificazione del processo vitale. Rendere cosa tangibile la vita è una meraviglia che l’uomo ha la libertà di accogliere nel concepire, dare al mondo e nel crescere un figlio.
La scelta, operata da un adulto per la non-vita di un altro essere, piccolissimo ma già pronto a continuare la sua esistenza, sembra davvero impossibile. E se chiamare morte la fine di una vita così breve sembra quasi stonare all’orecchio… di un essere, pur sempre, si tratta. Che si è originato semplicemente per avere la nostra stessa possibilità: vivere quella vita che, noi per primi, da qualcuno abbiamo ricevuto in dono.

di Beatrice Sartini

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