Il Regno Unito ha detto sì al suicidio assistito. Con una maggioranza netta - 330 voti a favore e 275 quelli contrari - la Camera dei Comuni inglese ha dato il via libera, in seconda lettura, alla proposta di legge che consente il suicidio assistito per i malati terminali. Non si tratta ancora, in realtà, di una approvazione definitiva per il Terminally Ill Adults End of Life Bill (questo il nome esatto della norma), che potrà essere ancora emendato nelle commissioni, ma certamente questo passaggio, avvenuto venerdì scorso, è molto significativo.
A preoccupare è il merito della norma in oggetto che, allorquando entrasse in vigore, consentirebbe di richiedere una procedura di «morte assistita» a chiunque risponda a quattro requisiti: almeno 18 anni di età; una capacità mentale per compiere una scelta chiara, decisa e informata; un’aspettativa di vita inferiore a sei mesi; il consenso di almeno due medici alla sua istanza suicida. Apparentemente stringenti, tali requisiti sono in realtà amplissimi.
Le critiche della medicina
Ad assicurarlo celebri medici inglesi come Mark Glaser, oncologo particolarmente noto per aver avuto come paziente Marjorie «Mo» Mowlam, ex ministro e componente – come cancelliere del Ducato di Lancaster e Segretario di Stato per l'Irlanda del Nord - del primo governo di Tony Blair. A Mowlam, a seguito della diagnosi di una malattia piuttosto seria - un tumore cerebrale aggressivo -, non le furono dati che pochi «mesi» di vita. Eppure, grazie a Glaser, la politica visse ancora non «mesi» bensì svariati anni, fino al 2005. Per questo, ha avvisato il celebre oncologo, non esiste medico, «per quanto bravo o famoso», che potrebbe oggi predire con certezza quanto un paziente sia prossimo alla morte, come indicato da prognosi rivelatesi incredibilmente sbagliate. Dunque già un paletto della nuova norma inglese (un’aspettativa di vita inferiore a sei mesi) è scientificamente senza senso, per non parlare poi di un altro – quello della scelta chiara, decisa e informata – che si scontra con l’esperienza internazionale, da quella dell’Olanda a quella del Belgio o del Canada, che attesta come, nel momento in cui si apre al cosiddetto “diritto di morire”, si instaura un clima sociale di pesante colpevolizzazione delle persone malate o gravemente disabili, che vengono quasi indotte, di fatto, ad andarsene. Non resta dunque che da augurarsi che il Regno Unito si fermi, perché il Terminally Ill Adults End of Life Bill rischia davvero di tradursi – e sono sempre medici come Mark Glaser ad assicurarlo – in una catastrofe sociale e sanitaria a danno dei più poveri.
Un condizionamento per l’Italia?
Rispetto a tutto questo, infine, un pensiero va all’Italia, dove da tempo l’associazionismo radicale spinge per il suicidio assistito con un apposito disegno di legge. Che hanno bocciato Regioni come il Veneto (a gennaio), il Piemonte (a marzo), la Lombardia (lo scorso novembre), ma che invece altre sembrano voler e poter accogliere; senza poi dimenticare i vari ricorsi fatti nei mesi scorsi alla Consulta sull’articolo 580 del codice penale – che punisce l’istigazione o aiuto al suicidio -, già modificato dalla sentenza della Consulta 242 del 2019, più nota come sentenza Cappato, e che se modificato ancora determinerebbe gravi conseguenze. Dopotutto, dei casi di suicidio assistito purtroppo si sono già verificati in Italia; il primo fu nel giugno 2022, di Federico Carboni, 44enne di Senigallia (Ancona) – che ai media era stato presentato come “Mario” –, poi seguito da Fabio Ridolfi, 46enne di Fermignano (Pesaro Urbino) e da altri. L’ultimo caso di cui si ha notizia, il nono, è quello di Laura Santi, la 50enne di Perugia affetta da una forma avanzata di sclerosi multipla a cui l’Asl 1 del capoluogo umbro, qualche settimana va, ha dato il via libera per il suicidio assistito. Per questo è bene che non solo le Regioni ma anche il governo italiano faccia tutto il possibile per fermare la deriva mortifera che si sta facendo largo anche in Italia.