Un altro paese “progredito” che da svariati decenni ha consentito il silenzioso e sanguinoso genocidio dell’aborto legale: presentiamo ai lettori il fatto di cronaca nera che ha portato alla legalizzazione dell’aborto in Giappone e, a seguire, l’immagine di quella società che, in fondo, ne sente la colpa e ne sta soppesando le gravissime conseguenze economiche e sociali
Oni Sanba, la demonessa infanticida
La Yusei Hogoho, la riforma che permise l’aborto libero in Giappone, passò sotto lo scioccante effetto mediatico del caso di Oni Sanba, l’Ostetrica-Demone. I fatti, davvero pregni d’indicibile orrore, sconvolsero l’opinione pubblica nipponica, togliendo ulteriori impedimenti al varo della legge omicida nel 1948.
Miyuki Ishikawa, una nativa della prefettura meridionale di Miyazaki, lavorava a Tokyo come direttrice della clinica ostetrica Kotobuki.
Trovatasi negli anni ‘40 ad affrontare il dilemma delle poche risorse ospedaliere per i tanti neonati che affollavano i reparti della sua clinica. Non vedendo possibili soluzioni, decise di privilegiare alcuni bambini a discapito di altri, che lasciava deperire senza acqua e senza cibo.
Con questa tecnica, la Ishikawa, detta anche Oni Sanba, ostetrica-oni (gli oni sono caratteristici demoni cornuti del folclore nipponico) uccise la cifra accertata di almeno 85 bambini, mentre la polizia – che aveva notato una strana anomalia statistica nelle morti infantili nella zona – la sospettò di 103 morti (almeno quaranta piccoli corpi erano sepolti sotto la casa di un becchino, altri trenta vicino a un tempio), ma sono ancora poche considerando che le morti sospette in tutto sarebbero 169.
L’aritmetica finale del massacro perpetrato da Oni Sanba è, insomma, non ancora conosciuta.
La Ishikawa coinvolse nel suopiano stragista il marito, che divenne poi aiutante anche nel riscuotere il pagamento del proprio operato: era arrivata a chiedere ai poveri che facevano nascere i figli nel suo ospedale una sorta di “pizzo” (dai 4.000 ai 5.000 yen) per uccidere i lorofigli, garantendo loro che le spese per crescerli, in quel paese devastato, sarebbero comunque state maggiori. All’abbietto traffico si aggiunse anche un medico, che falsificava i certificati di morte.
Nel gennaio 1948 la polizia rinvenne accidentalmente i cadaveri di cinque bambini. Pochi giorni dopo, i coniugi Ishikawa vennero arrestati.
Al processo – che fu un evento mediatico – Oni Sanba si difese dicendo che i veri responsabili delle morti erano i genitori dei bambini, che li avevano abbandonati. La cosa, forse per tramite d’imperscrutabili meccaniche spirituali orientali, parve convincere una grande parte dell’opinione pubblica nipponica.
Nonostante le proteste della scrittrice femminista Yuriko Miyamoto, l’abominio di Kotobuki non costò ai suoi perpetratori la pena di morte, norma che è tuttora in vigore in Giappone.
La Corte Distrettuale di Tokyo condannò a 8 anni la Ishikawa, e a 4 anni il marito Takeshi e il dottore complice. I tre fecero appello all’Alta corte di Tokyo, che dimezzò le sentenze.
Poiché di Oni Sanba si conosce solo la data di nascita (1897) e sapendo quanto possa essere longeva la vita in Giappone, non stupirebbe pensare che questo mostro sia ancora in circolazione, in perfetta libertà e con i conti con la giustizia perfettamente saldati.
Tuttora, la Ishikawa è considerabile come il più grande assassino seriale della storia del Giappone.
A seguito di questo racconto d’orrore, il popolo giapponese, che nel 1948 aveva visto un inatteso boom di nascite, accettò la legge di protezione eugenica Yusei Hogoho, e il 2 giugno 1949 fu possibile richiedere di interrompere la gravidanza per motivi socio economici, così come richiesto dalla sinistra fabiana di Abe Isou.
L’era dell’aborto libero in Giappone era iniziata.
Come un serial killer possa influenzare il pubblico ad accettare una legge che consente sotto l’egida dello stato la strage degli innocenti, è un mistero che pertiene alla psiche giapponese e a quella umana più in generale.
Oltre il Limbo, il castigo divino
I Giapponesi lo chiamano Sai no kawara. È la riva del fiume di Sai, un luogo mitologico, una sorta di limbo dove finiscono i bambini morti prematuramente. È il luogo dove stanno le anime dei mizuko, i “bambini liquidi”: gli abortiti.
In varie parti del paese vi sono cimiteri dove i genitori dei non nati rendono omaggio al mizuko apponendo magari una statuetta di Jizo, la divinità buddista che in sanscrito si chiama Ksitigarbha (“terra-ventre”), l’essere che nel culto buddista è preposto all’istruzione delle anime dei morti, e che i giapponesi, specie dagli anni ‘80, hanno adottato come nume tutelare dei prematuri. Per esempio, quello che si trova nella deserta punta più a nord dell’isola di Sado, nel Mar del Giappone.
Molti vi giungono silenziosamente per commemorare il proprio figlio morto, disseminando la spiaggia di piccoli Jizo attorniati da una familiare, toccante teoria di orsetti di peluche e ninnoli.
La mitica riva del fiume di Sai è quindi il limbo dove opera Jizo: le spiagge deserte di Sado, così come altri poco conosciuti luoghi del Giappone, è un panorama fatto di vuoto che forse assomiglia davvero alla riva del fiume dei non nati, i mizuko, i bambini d’acqua.
Il mizuko kuyo, una cerimonia per l’anima dei bambini nati, prematuri o abortiti – in pratica, una sorta di “funerale del feto” – ha subito una rapida crescita negli ultimi 40 anni. Con tale funzione religiosa si esprime così il lutto per il bambino scomparso, ci si preoccupa per l’anima del feto nell’aldilà, e – non bisogna dimenticarlo – si cerca di placare la possibile vendetta dell’anima del morto, un tema ricorrente nel foclore e nei film horror locali.
Al di là di questo, il moltiplicarsi dei mizuko kuyo è forse il primo segno di consapevolezza della tragedia nazionale dell’aborto libero. Essa ha dei costi, economici, oltre che morali, che oramai minacciano da vicino la stessa esistenza dello stato Giapponese.
La vendetta degli innocenti morti, può incarnarsi nel collasso statistico di un sistema economico che presto avrà più pensionati che lavoratori. Non è un discorso nuovo. È il destino che molti temono anche per l’Italia.
Ma, come noto, il Giappone sta avanti. Il sacrificio al nulla d’intere generazioni di Giapponesi rappresenta certo un orribile peccato sociale che fa piovere sulla terra i castighi più tremendi. Siccome non vogliamo irritare nessuno e perciò non vogliamo ipotizzare che terremoti, tsunami e incidenti nucleari siano punizioni divine (?), ci limitiamo a ricordare come da un punto di vista meramente economico l’apparato previdenziale di un paese con un così basso tasso di fertilità (1.4, inferiore perfino alla Cina del figlio unico, una nemesi che dovrebbe essere intollerabile per l’orgoglio nipponico) non può che collassare, trascinando con sé in un meltdown disperato quello che resta dell’economia del paese. La qual cosa è per forza di cose nota anche ai politici, che paiono però impotenti davanti al liquefarsi della loro società. Del resto, si tratta di un naturale trapasso.
Hanno “liquefatto” i bambini, a milioni. Ora a liquefarsi è tutto il resto della civiltà, di cui la vita di quei poveri bambini altro non era che la struttura primaria.
di Roberto Dal Bosco