05/02/2022 di Fabrizio Cannone

Il Saviano abortista fa la morale ai medici obiettori

Roberto Saviano, già mitizzato autore di Gomorra ed ora anche star a Sanremo, non ha mai perso l’occasione di promuovere pensieri e azioni antitetici ai valori non negoziabili.

Su 7, magazine del Corriere della Sera, difende per l’ennesima volta l’aborto, ignorando il numero, ormai inarrivabile, di questo genocidio col silenziatore. In questo primo spicchio dell’anno, infatti, le vittime, nel mondo, sarebbero oltre 4 milioni, secondo i dati di Worldometers.

Secondo Saviano, nelle scorse settimane, “ha fatto discutere la notizia dell’ospedale di Ciriè, un comune di circa 20mila abitanti in provincia di Torino, in cui il 100% dei ginecologi è obiettore di coscienza e, dunque, non pratica l’aborto”. Nessuna minima riflessione sul fatto che quei medici, ovvero dei cittadini che hanno scelto la nobile professione di curare la gente, abbiamo deciso per ragioni di coscienza di astenersi da quella specifica “operazione” che è l’interruzione della gravidanza.

Anzi, visto che in Italia dal 1978 vige la legge 194, a Ciriè “un diritto è negato”, secondo lo scrittore. Addirittura, la legalizzazione dell’aborto in Italia, “andrebbe studiata a scuola - ma senza preconcetti - perché ha una storia grande, la storia del metodo radicale: opporsi a leggi inique mettendo a disposizione dell’evoluzione in senso democratico della società il proprio corpo”. Il proprio corpo, o quello altrui? Le leggi che proteggono la vita sarebbero dunque per Saviano “leggi inique”, quelle che permettono la soppressione dell’innocente – a volte fino al termine della gravidanza – sarebbero invece dei diritti da difendere.

In tutt’altro spirito va il Messaggio dei vescovi italiani in occasione della 44esima Giornata per la vita, che si celebra domani. Giornata, non lo si dimentichi mai, voluta da Paolo VI e Giovanni Paolo II proprio per denunciare la legge che garantisce la licenza di abortire. Secondo i presuli, che sembrano quasi voler rispondere a Saviano, seppur il loro messaggio è precedente, “Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita”.

Ogni vita dunque, dall’embrione umano all’anziano malato e “inutile”. Ancora: “Mettere termine a un’esistenza – si legge nel messaggio dei vescovi - non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione”. E se la tentazione della disperazione è comprensibile, diffonderla e promuoverla, come fanno certe star, non è giustificabile.

La cultura di morte e l’indifferenza verso il prossimo è il problema, non l’obiezione di coscienza dei medici più coraggiosi. “La riaffermazione del diritto all’aborto e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella medesima direzione”: una direzione sbagliata.

In conclusione i vescovi richiamano ogni cittadino alle proprie precise responsabilità: “Le persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita. Potremo così affermare che la lezione della pandemia non sarà andata sprecata”.

 

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