Siamo alle solite: i giovanissimi vengono usati in modo poco trasparente per veicolare la rivoluzione antropologica arcobaleno. La scuola è il principale strumento ma non l’unico. Particolarmente utili alla “buona causa” sono i sondaggi, specie se basati su domande tendenziose che fanno sbilanciare le risposte in maniera quasi plebiscitaria in una determinata direzione.
L’indagine di WeSchool effettuata su circa 3200 docenti e studenti delle secondarie è rivelativa di un certo modo di orientare il dibattito. Il 75,5% degli intervistati affermano che a scuola le tematiche lgbt non dovrebbero più essere un tabù. Una percentuale pressoché uguale (76,8%) afferma di conoscere il significato dell’acronimo LGBTQI+, mentre il 71% dichiara di intendere la differenza tra genere, sesso e orientamento sessuale.
Inevitabili, a questo punto, le domande sull’omofobia: il 18,6% dice di aver subito momenti di esclusione o di violenza in ambiente scolastico, mentre il 24,6% avrebbe assistito ad episodi simili. Più della metà degli intervistati, infine, non saprebbe come comportarsi nel caso in cui accadessero simili soprusi.
«Da questa indagine docenti e studenti risultano allineati, quasi alleati – ha commentato Marco De Rossi, fondatore di WeSchool –. Come a segnare una volta di più il passo lento del dibattito politico, che risulta anni luce indietro rispetto alla consapevolezza da parte degli studenti e all’interesse ad affrontare questi temi». Un argomento ricorrente della propaganda lgbt: la società civile – giovani in primis – è sempre più avanti rispetto alla politica, che stenta ad adeguarsi. Senza mai porre al vaglio il dilemma se questa “apertura mentale” sia frutto di un vero spirito critico o, al contrario, di qualche forma di disinformazione o manipolazione.
«Per i docenti è difficile parlarne perché si tratta di argomenti complessi, estremamente delicati e non sempre codificati dai libri di testo, ma in realtà il contesto adatto c’è già, con il nuovo insegnamento obbligatorio dell’Educazione civica, e gli studenti ne sarebbero entusiasti», insiste De Rossi.
Il fondatore di WeSchool conclude annunciando: «A partire da settembre formeremo i Prof interessati e forniremo i contenuti per affrontare questi argomenti, sempre nel rispetto dell’autonomia della missione educativa del docente, che deciderà come e se portare il tema in classe».
Pro Vita & Famiglia aveva intuito da subito la natura ambigua del sondaggio, lanciando una petizione in cui se ne chiedeva il ritiro. La nostra onlus aveva smascherato l’uso strumentale della dimestichezza acquisita dagli studenti in un anno abbondante di didattica a distanza. A ciò si aggiunga il fatto che il questionario è stato sottoposto in primis ai docenti, incoraggiati caldamente a distribuirlo ai loro allievi dagli 11-13 anni in su, senza minimamente mettere al corrente i genitori dell’iniziativa, avviata peraltro in corrispondenza della Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia (17 maggio).
Ultimo ma non ultimo, l’impostazione dei quesiti è tutt’altro che super partes e il suo linguaggio denota lo spirito fortemente indottrinante: «Quanto ti senti impegnat* per i diritti delle persone LGBTQI+? Hai pensato che la tua identità di genere non corrispondesse a un certo tipo di modello che la società, i media (social network, tv, giornali), la famiglia, la scuola propongono e mostrano? Ritieni che la tua scuola sia un luogo inclusivo per tutti i tipi di identità di genere (cisgender, transgender, gender queer) e orientamenti sessuali (gay, lesbiche, bisessuali, asessuali)?». Inevitabile che gli studenti indecisi e disorientati rispondano secondo i criteri suggeriti tra le righe dal sondaggista, che poi userà i risultati della sua indagine per finalità non scientifiche, né didattiche ma meramente politiche.