In Georgia un giudice federale ha recentemente bloccato in modo definitivo la legge del "primo battito" approvata nel 2019, perché violerebbe la Costituzione Usa. La cosiddetta “Heartbeat bill” vieta l’aborto, non appena il battito del cuore di un feto è individuabile, ovvero tra le sei e le otto settimane di gravidanza.
In realtà il decreto di legge avrebbe dovuto entrare in vigore a gennaio, ma il giudice distrettuale Steve Jones si è pronunciato contro la legge in questione, dopo che un gruppo di associazioni che si occupano di difesa dei diritti civili, medici e cliniche avevano fatto causa allo stato per cercare di bloccare la legge. E purtroppo, quello della Georgia, non è l’unico caso: infatti nessuna delle leggi sul “primo battito” approvate quest’anno, in diversi stati americani è stata fatta entrare in vigore: tutte sono state bloccate in tribunale.
Ciò è avvenuto perché, secondo chi ne contesta la liceità, l’approvazione di una tale legge sarebbe in contrasto con la sentenza della Corte Suprema Roe v. Wade del 1973, con cui venne legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. E dunque, essendoci solo una sentenza e non una legge unica che normi nel dettaglio le modalità in cui devono avvenire le interruzioni di gravidanza, in tutto il paese, ne consegue che ogni stato ha le proprie norme in base alle quali vengono stabiliti i limiti entro cui poter interrompere una gravidanza.
Le differenze tra uno stato e l’altro, nel concepire la questione dell’aborto, sono così marcate che, in alcuni di essi, l’interruzione di gravidanza, rientra nei programmi politici sotto l’espressione “salute riproduttiva”, come se la gravidanza fosse una malattia e l’unica a dover essere eventualmente “tutelata” (da cosa, poi?) debba essere la madre.