La legalizzazione dell’utero in affitto deve stare molto a cuore a Michela Marzano. Altrimenti non si spiegherebbe come mai la filosofa abbia scelto - peraltro proprio nei giorni in cui si parla, a livello anche politico, di rendere reato universale tale pratica – di tornare alla carica. Lo ha fatto firmando sul quotidiano La Stampa un lungo intervento con cui, in sintesi, tenta di rilanciare il proprio punto di vista da un’altra angolatura, che è quella della maternità surrogata quale opzione volontaria.
«Perché rimettere in discussione le parole di quelle donne che dicono di aver scelto liberamente di portare avanti una gestazione per altri?», si è infatti chiesta Marzano: «Perché dovrebbero essere prese sul serio solo le parole di chi sostiene che mai e poi mai potrebbe farlo?». Voi potete pure contrastare l’utero in affitto finché volete - dice insomma l’accademica, già deputata del Pd - ma perché sbarrare la strada a quelle donne che comunque, in piena libertà, intendono percorrerla?
L’intervento, pubblicato a tutta pagina con il titolo “La gestazione per altri è anche questione di libertà”, ha già suscitato forti reazioni. Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera, da tempo molto critica verso la maternità surrogata, ha per esempio così commentato: «La Stampa per la seconda volta in pochi giorni Michela Marzano pontifica su quanto sia giusto che le donne facciano bambini per conto di altri ovvero affittino il proprio utero in cambio di soldi». «A parte che avendo un fratello che ha avuto un bimbo con la Gpa la sua è un’opinione del tutto di parte», continua ancora Sargentini, «non capisco perché Giannini le lasci scrivere 100 righe un giorno sì e l’altro pure».
«È facile fare gli altruisti con l’utero delle altre», chiosa infine la giornalista del Corriere. Che senza dubbio ha toccato aspetti di rilevanti ma però, ecco il punto, in queste parole, condivise su Facebook, non è andata al cuore di quanto scritto da Marzano, che è – come si diceva poc’anzi - un richiamo alla posizione di quelle donne che liberamente scelgono la cosiddetta gestazione per altri. Sì, perché in effetti ci son donne che spontaneamente, non cioè per cause economiche bensì per motivi cosiddetti altruistici, arrivano a sottoporsi a tale pratica. Come rispondere, allora, a tale considerazione?
Esistono più rilievi che possono essere mossi al Marzano-pensiero. Primo: le donne che liberamente scelgono la strada della maternità surrogata sono una quota marginale se non irrilevante, mentre – nel mondo – la gran parte di quante sceglie tale opzione la fa o per sfuggire alla povertà o comunque per migliorare la propria posizione economica. E siccome le leggi, in quanto tale, guardano sempre al contesto generale, non è ad una minoranza nella minoranza che si può guardare, bensì al fenomeno nel suo insieme; il quale, quando si parla di utero in affitto, fa rima con povertà e sfruttamento.
In seconda battuta, va evidenziato che le donne «che scelgono» la strada della cosiddetta gestazione per altri possono anche essere «credibili»; il fatto è che non è credibile un ordinamento che sceglie di disciplinare tale intenzione. Parola di Julie Bindel, scrittrice femminista radicale che nell’ottobre 2020 sul londinese Evening Standard, la Bindel ha firmato un intervento che fa a pezzi la bufala proprio della «gravidanza solidale», quella cioè libera da spinte economiche e da dinamiche di sfruttamento.
«Parlare di “maternità surrogata altruistica” ossia di un accordo per cui la madre surrogata può agire solo liberamente e dietro rimborso spese», ha scritto la Bindel, «è fuorviante. In Gran Bretagna una madre surrogata può richiedere fino a 15.000 sterline di rimborsi spese, che equivalgono allo stipendio annuale per molte donne con un lavoro a bassa retribuzione». A seguire, la celebre femminista riportava testimonianze forti e che sarebbe eufemistico definire da brivido, come questa: «Ho parlato con una donna britannica che è stata costretta dal marito violento a stipulare un accordo di maternità surrogata per saldare i suoi debiti».
C’è da immaginare che quella stessa donna incontrata da Julie Bindel, se fosse stata interpellata dalla clinica con cui ha collaborato per diventare mamma surrogata, avrebbe certamente negato d’essere stata costretta dal marito a fare ciò che ha fatto. Si sarebbe cioè presentata come una donna libera; eppure non lo era. E non lo era neppure in un Paese, com’è la Gran Bretagna, dove solo la «gravidanza solidale» è tollerata. Un dato, quest’ultimo, che deve far pensare circa lo scollamento tra teoria e pratica, tra ipotesi e scenari concreti.
Infine, un aspetto conclusivo e finale – anche se non per importanza – rispetto al Marzano-pensiero sulla maternità surrogata, riguarda il figlio. L’utero in affitto è una barbarie anzitutto perché mercifica i neonati, dando loro un prezzo, esattamente come fossero merce. È questo dato indiscutibile – volontarietà o meno (anche se spesso non c’è affatto) delle donne a sottoporsi a tale pratica – che rende la maternità surrogata un crimine, e non c’è modo di eluderlo perché esso ne costituisce un elemento centrale.
Per questo sarebbe bene evitare di tentare, ogni volta con argomenti più o meno nuovi, di dar pennellate di colore sopra una pratica la cui sostanza rimane sempre e comunque orrenda e disumana. C’è poco da fare, la realtà è questa; e la realtà non può essere cambiata né deve essere camuffata a piacimento per tentar di rendere digeribili cose che, semplicemente, non potranno mai esserlo.