Su www.lifenews.com è stata pubblicata un’intervista in esclusiva con Padre Frank Pavone, presidente dell’associazione americana “Priests for Life” che merita certamente l’attenzione dei nostri lettori
– Qual è la cosa più importante che il movimento pro life deve fare?
Osare di più. Una delle cose che rallenta i nostri progressi è l’esitazione, il calcolo, il non voler rischiare. La maggior parte delle volte in cui un individuo, un gruppo o una Parrocchia si chiede “Cosa devo fare?”, la risposta già la sa. Il problema vero è se ha il coraggio di farlo oppure no. E’ questo coraggio che spesso manca. Dobbiamo ripeterci sempre che non c’è niente di più importante che ripristrinare il diritto alla vita dei concepiti, perché se non siamo tutti protetti, siamo tutti in pericolo. Questa deve essere la nostra priorità, e tutto il resto lo possiamo e dobbiamo rischiare.
– Che cosa ha imparato dalla sua esperienza di leader pro life?
Che bisogna essere pronti al rifiuto anche da parte di coloro che non ti aspetti. Che i più grandi ostacoli non vengono dalle grandi e potenti organizzazioni internazionali come Planned Parenthood, o i mass media più alla moda. Le più grandi difficoltà da superare vengono da noi stessi. Sono le nostre paure, i nostri dubbi, i nostri vizi. E più il tempo passa, più mi convinco di questo.
– Cosa consiglia ai giovani leader, e a chi da poco si è schierato per la Vita?
Considerate il presente, non pensate troppo al futuro. Voi siete il presente. Certamente bisogna ascoltare quelli che hanno più esperienza, ma anche voi, giovani, avete da insegnare a loro. Dovete far rinascere il fervore, l’idealismo e le energie che gli anziani avevano inizialmente. Non sempre le esperienze che gli anziani hanno avuto sono state positive. Possono averli condotti a atteggiamenti mentali che hanno metabolizzato una specie di “rifiuto del rischio”. I giovani possono ricordare a tutti che c’è un’urgenza e che il senso dell’urgenza non va perso.
– Cosa pensa dei politici cattolici pro choice? [N.d.T.: La domanda si riferisce specificamente anche a Nancy Pelosi, esponente liberal, “obamiana”, apertamente pro choice, che si definisce Cattolica]
L’ultima cosa di cui gli abortisti vogliono discutere è proprio l’aborto. Cercano rifugio in un linguaggio fideistico. Parlano di concetti astratti, di scelta, di libertà, di costituzione, di salute femminile. Non parlano dell’aborto. Ciò che è comune ai politici cattolici abortisti è che sono subito pronti a dire quanto sono sinceramente credenti, ma evitano di rispondere alla domanda di base: che differenza c’è tra uccidere un bambino fuori e dentro il grembo materno?
Il loro linguaggio è la neo lingua, tutto dolcezza e sacralità. Hanno un sito web quelli della “Coalizione religiosa per la scelta riproduttiva” (Religious Coalition for Reproductive Choice, RCRC). Rivestono il male di un linguaggio religioso per farlo apparire come un bene.
– Ci vuol parlare del Giorno del Ricordo per I Bambini Abortiti?
Sono molto entusiasta dell’iniziativa: il 14 settembre in circa 30 cimiteri in USA ci saranno gruppi di preghiera. E’ importante l’adesione massiccia di tutti coloro che credono nella vita. Sia per la battaglia del momento, quella contro gli aborti tardivi, sia perché ogni monumento al cimitero per i bambini abortiti ha una storia molto educativa. Per esempio in California ci sono 16.000 bambini sepolti: furono trovati per caso in una specie di container da degli operai e ci sono voluti 3 anni di battaglie legali per ottenere il permesso di una giusta sepoltura per questi bambini. Perché gli abortisti certe cose non le vogliono sapere, non vogliono essere al corrente di qualcosa che parla dell’umanità dei bambini abortiti. Cosa che invece è ben espressa da una cerimonia funebre. Una cerimonia funebre, come quelle che si terranno il 14 settembre, parlerà al cuore e alle menti della gente dell’umanità spezzata dalla violenza dell’aborto.
Traduzione a cura di Francesca Romana Poleggi
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese
di Lauren Enriquez