Da “eccezione” a “diritto” la differenza è tanta. E non è soltanto una differenza semantica, quanto morale, politica, super politica.
E’ questa la portata dell’emendamento socialista alla legge Veil che in Francia ha introdotto l’aborto nel 1975. La Fondazione Lejeune, che porta il nome del genetista che ha scoperto la trisomia 21, ha lanciato l’allarme sugli emendamenti all’interruzione di gravidanza che saranno discussi a partire dal 20 gennaio all’Assemblea nazionale all’interno di una legge sull’uguaglianza tra uomini e donne. Tra questi c’è il “cambio di statuto dell’aborto”, per trasformarlo “da eccezione a diritto” facendolo diventare “un atto come un altro”.
Un altro emendamento propone di modificare il Codice della sanità pubblica. Là dove si dice che l’aborto è permesso “a tutte le donne incinte che si trovano a causa del loro stato in una situazione di sofferenza”, si leggerà “a tutte le donne incinte che non vogliono una gravidanza”.
La Francia è pioniera dell’abortismo in Europa, sin dai tempi della legge che prese il nome della presidente del Parlamento europeo.
Con questa ultima, estremistica virata, si appresta a trasformare l’aborto in un diritto. Il prossimo passo è indicato dall’Onu: l’aborto come “diritto umano”. Come disse una volta Lejeune: “I miei studenti mi chiedevano perché continuassi a lavorare sulla trisomia 21 (l’anomalia cromosomica responsabile della sindrome di Down), dopo tutto i feti potevano essere eliminati. Io vedevo nella trisomia 21 il sintomo di una malattia. Loro il sintomo della morte. Non condanno un membro della mia stirpe”. Purtroppo, Lejeune sembra aver perso la sua eroica battaglia.
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