«Gli Stati membri dell’Unione Europea sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale», dice un comunicato stampa della Corte Europea di Lussemburgo (la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non la CEDU).
Ma gli Stati «non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese non UE, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio».
Già in rete circolano notizie del tipo «L’UE ha legalizzato il matrimonio gay». Non è vero. È vero che questa interpretazione del termine “coniuge” inteso anche per “coniugi” dello stesso sesso, fa parte dell’opera di ingegneria sociale in atto per decostruire l’antropologia naturale. Ma il comunicato stampa dice chiaramente che «la nozione di “coniuge”, ai sensi delle disposizioni del diritto dell’Unione sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, comprende i coniugi dello stesso sesso».
Quindi, per ora, non c’è niente da “celebrare”.
Inutilmente i Vescovi rumeni hanno provato a ricordare alle istituzioni europee la verità sul matrimonio, come abbiamo scritto qui.
E quindi l’amante americano del signor Coman (romeno), ai fini del permesso di soggiorno, deve essere considerato dalla Romania come se fosse un “coniuge”, anche se la Romania non riconosce il matrimonio gay.
Prosegue il comunicato stampa che, in base alle norme comunitarie, non sussiste alcun «diritto di soggiorno derivato a favore dei cittadini di uno Stato non-UE», ma che «in alcuni casi, i cittadini di Stati non-UE, familiari di un cittadino dell’Unione [...], possono tuttavia vedersi riconosciuto un simile diritto sulla base dell’articolo 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (disposizione che conferisce direttamente ai cittadini dell’Unione il diritto fondamentale e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri)».
Redazione