La notizia era in realtà filtrata già lo scorso dicembre, suscitando subito l’allarme dei media progressisti anche italiani, ed ora sta tornando al centro dell’attenzione. Stiamo parlando della Corte Suprema americana che torna ad occuparsi dell'aborto, stavolta concentrando la propria attenzione sulla pillola abortiva. La vicenda giudiziaria sta infatti entrando nel vivo proprio in questi giorni, con l'Alta Corte chiamata ad ascoltare le argomentazioni sul metodo più diffuso per abortire.
La decisione è attesa nei prossimi mesi, si parla di giugno, e potrebbe avere profonde implicazioni sia sull’aborto negli Usa - già travolto dall’annullamento, nel 2022, della stessa Corte Suprema della sentenza Roe v. Wade - sia sulla corsa alla Casa Bianca. La Corte Suprema si trova ad esaminare la questione dopo che alcuni Stati conservatori americani, e non solo, hanno chiesto di confermare la decisione della Corte di Appello, che limita l'accesso al mifepristone, lo steroide sintetico utilizzato come farmaco per l'aborto chimico nei primi due mesi della gravidanza.
Pur approvato dall’ente regolatorio nel 2000, il mifepristone è difatti al centro del dibattito sull'aborto da tempo e da mesi è nel mirino dei politici conservatori. Prova ne è quanto accaduto nel marzo 2023 con Mark Gordon, il governatore repubblicano del Wyoming, il quale ha firmato una legge storica, già approvata dal suo Parlamento federale, che ha reso il suo il primo Stato a dire stop a questi prodotti. Beninteso: con questa legge, le donne «su cui viene eseguito o tentato un aborto chimico» non saranno perseguite, ma chi proverà a somministrare loro le pillole – escluse sia quelle del giorno dopo, sia quelle la cui assunzione potrebbe essere vitale per la gestante - andrà incontro a conseguenze pesanti: pene fino a sei mesi di carcere e multe di 9.000 dollari.
Poco dopo, sempre lo scorso anno, è stato il Texas a dire no alla pillola abortiva, ottenendo l’immediato ricorso della Casa Bianca. La guerra a colpi di provvedimenti e ricorsi è continuata per mesi finché, nel dicembre scorso, come ha riportato l’agenzia Agi, «la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato di pronunciarsi sulle restrizioni imposte da un tribunale di grado inferiore sull'utilizzo di una popolare pillola abortiva. Si tratta del primo caso del genere che la Corte Suprema prenderà in esame». Va detto che il tribunale di grado inferiore di cui si sta parlando, la Corte d'Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti, non ha dichiarato illegale la diffusione della pillola abortiva – che anzi è stata confermata -, ma ha sentenziato che una serie di misure prese dalla Food and Drug Administration (Fda) negli ultimi anni per renderne più facile l'ottenimento sono andate troppo oltre.
Conseguentemente, la controversia sulla quale la Corte Usa sarà chiamata ad esprimersi riguarda una serie di azioni intraprese dalla Fda a partire dal 2016, che in buona sostanza hanno reso assai più facile ottenere la pillola, cioè il mifepristone. L’Fda, infatti, dal 2016 ha consentito l’assunzione del mifepristone più tardi durante la gravidanza, aumentando il limite di età gestazionale da 7 a 10 settimane. Ha inoltre ridotto il numero di visite di persona richieste da una paziente sottoposta a un aborto farmacologico da tre a una e ha consentito a più operatori sanitari di prescrivere il farmaco; si spiega anche così il successo, per così dire, dell’aborto chimico, sulle cui regole ora però i giudici sono chiamati a pronunciarsi.
Nell’aprile dello scorso anno, la citata Corte d'Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti ha invece stabilito che la vendita della pillola dovrebbe avvenire di persona e che il periodo in cui il farmaco può essere assunto debba essere limitato alle prime sette settimane di gravidanza. La Corte Suprema Usa dovrà quindi pronunciarsi non già sull’accesso in generale alla pillola abortiva, bensì sulle modalità con cui essa può essere o meno disponibile alle donne intenzionate ad abortire. Lo scorso 26 marzo si è già tenuta una udienza dinnanzi alla Corte Suprema, che però ha visto più di un giudice conservatore – Neil M. Gorsuch, ed Amy Coney Barrett, tanto per fare due nomi – prendere posizioni non esattamente ostili, come ci si sarebbe aspettato, dinnanzi alle motivazioni esposte dalle associazioni pro life.
Ciò nonostante, visto il clamoroso precedente della sentenza del giugno 2022 e il fatto che tutt’ora la Corte Suprema sia a maggioranza conservatrice sta mandando in allarme i media progressisti. Non a caso c’è la Cnn che racconta come oggi l’aborto chimico rappresenti quasi due terzi di tutti gli aborti praticati nel Paese, come stopparlo quindi priverebbe di un loro «diritto» almeno 5,9 milioni di donne e come il mifepristone sarebbe più sicuro di alcuni comuni farmaci da prescrizione a basso rischio, come la penicillina e il Viagra. Alla mitica Cnn – che si è spinta a definire sicuro anche la telemedicina per l’aborto chimico – a quanto pare sfugge totalmente il fatto che la penicillina e il Viagra non vengono assunti per eliminare una vita umana, mentre il mifepristone viene preso proprio per quello: e pensare che non si tratta di un dettaglio, bensì del cuore dell’intera vicenda. Senza poi dimenticare il fatto che l’aborto chimico è pericoloso anche per le donne.
Prova ne sia una memoria che la Justice Foundation ha depositato sempre alla Corte Suprema, rappresentando i casi di 2.743 donne che hanno subito gravi conseguenze fisiche ed emotive dopo aver assunto pillole abortive chimiche; tra le firmatarie del documento ci sono anche l’attivista prolife Abby Johnson e la nipote di Martin Luther King, Alveda King. Non resta pertanto da augurarsi che questa documentazione, unitamente a quanto già esposto prima, possa portare la Corte Suprema – nonostante gli atteggiamenti visti sinora, non troppo convincenti da un punto di vista pro life, da parte di certi giudici conservatori - ad una nuova decisione storica, che possa ulteriormente limitare gli aborti, così com’è avvenuto dopo la già ricordata sentenza del giugno di due anni fa.