28/11/2013

La falsa democrazia svedese e il diritto all’obiezione di coscienza

La Carta Sociale Europea (del Consiglio d’Europa, non dell’UE) prevede  il diritto alla protezione della salute e alla non discriminazione per gli operatori sanitari (medici in primis) che rifiutano di partecipare e di praticare aborti. In Svezia, invece, coloro che eticamente si oppongono all’aborto, specialmente quando è tardivo, sono obbligati dalla legge a parteciparvi attivamente. La normativa del paese in proposito è estremamente liberale: in pratica l’aborto è possibile sempre, su richiesta. Oltre la 18a settimana, ottenere il permesso dalle autorità sanitarie è praticamente automatico, tant’è vero che il numero di aborti, soprattutto tra le adolescenti è in continua crescita. In questo contesto, apprendiamo da Lifesitenews.com che la Federazione delle Associazioni delle Famiglie Cattoliche ha presentato un ricorso per conto della KLM (Medici e Studenti Cristiani), e dell’associazione svedese Pro Vita. Gli studenti e gli operatori sanitari svedesi, infatti, denunciano grosse discriminazioni in campo lavorativo e in campo universitario ( perfino la negazione del diploma). Tra l’altro il documento riporta il dibattito emerso nel 2011, quando da un’inchiesta come negli ospedali, a seguito di aborti tardivi, i bambini fossero messi da parte e lasciati morire così, anche dopo una o due ore di agonia. In quel contesto alcuni dipendenti degli ospedali si dimisero per “stress psicologico”. Un’infermiera denunciò all’Ufficio Nazionale della Sanità e del Welfare l’esperienza terribile di dover assistere a tali atroci agonie senza poter far nulla, a meno di non violare la legge. Per questi motivi i gruppi pro life denunciano il Governo svedese per la violazione di diverse norme di diritto internazionale, per esempio la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In particolare segnalano la violazione della Risoluzione 1763 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), che dice “nessuna persona, nessun ospedale né altra istituzione può essere costretta, né essere ritenuta responsabile, né essere discriminata in alcun modo se rifiuta di praticare, assistere o collaborare a un aborto o a un’eutanasia“. Questa Risoluzione era stata emanata nel 2010 in occasione del ricorso di Christine McCafferty, che voleva fosse limitato il diritto all’obiezione di coscienza.

di Francesca Romana Poleggi

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