Chi scrive non ritene che l’uomo sia un “cancro” per l’ecosistema, anzi: il mondo è stato creato per l’uomo, ed egli, senza abusarne, ne può usare, perché le cose sono “mezzi” e la vita umana è un “fine”. Perciò, l’articolo dell’autorevole Journal of Medical Ethics , che qui andiamo ad illustrare, ci sembra piuttosto “ecologista – estremista”, ma il ragionamento che porta avanti è logico e stringente.
L’articolo sostiene che la fecondazione artificiale dovrebbe essere limitata e regolamentata, perché comporta alti costi in termini di riscaldamento globale e tutela dell’ambiente. Lo ha scritto Cristina Richie , del Boston College del Massachusetts.
I trattamenti di fertilità producono – a pagamento – persone che emettono anidride carbonica: perciò, come qualsiasi industria, anche quella della provetta dovrebbe essere responsabile dell’impatto ambientale. Tale responsabilità non l’hanno coloro che procreano naturalmente (pur generando anch’essi persone inquinanti), perché – appunto – non lo fanno nell’ambito di un’impresa a scopo di lucro. Invece, finora, l‘impatto ambientale della medicina riproduttiva è stato largamente ignorato, e l’ecosistema ne soffre.
Il trattamento di fertilità – secondo la Richie – dovrebbe essere libero e gratuito solo per coloro che sono “naturalmente” medicalmente sterili. Dovrebbe essere quindi vietato per coloro che hanno fatto “scelte di vita” sterili, come le persone che si sono volontariamente sottoposte a sterilizzazione, le donne fertili single e le coppie fertili dello stesso sesso.
Non è certo un ragionamento cattolico, bigotto e omofobico, e la sua logica ce l’ha...
Francesca Romana Poleggi
Fonte: Bioedge