Catharine MacKinnon non è certo una di quelle femministe “fuori dal coro” e tacciate di omofobia come J. K. Rowling. È noto in particolare il suo sostegno ai movimenti radicali trans-femministi. Ciononostante, il pensiero di MacKinnon è degno d’attenzione sotto vari aspetti. Uno su tutti: la lotta alla pornografia, sul piano legale, e alla banalizzazione del corpo femminile, sul piano culturale.
Nata a Minneapolis (Minnesota) nel 1946, MacKinnon ha compiuto i suoi studi allo Smith College e all’Università di Yale. Attualmente è professore di diritto alla University of Michigan Law School. Come giurista ha condotto numerose battaglie legali, tra cui, per l’appunto, il ricorso contro la pornografia portato avanti assieme all’amica Andrea Dworkin, altra femminista radicale della prima ora.
In uno scritto a quattro mani, Dworkin e MacKinnon definiscono la pornografia come «la subordinazione grafica sessualmente esplicita delle donne attraverso immagini o parole che include anche donne disumanizzate come oggetti, cose o merci sessuali; godere del dolore, dell’umiliazione o dello stupro; essere legato, fatto a pezzi, mutilato, contuso o ferito fisicamente; in atteggiamenti di sottomissione sessuale o servilismo o esibizione; ridotto a parti del corpo, penetrato da oggetti o animali, o presentato in scenari di degrado, ferita, tortura; mostrato come sporco o inferiore; sanguinamento, lividi o ferite in un contesto che rende queste condizioni sessuali».
Nel saggio Toward a Feminist Theory of the State, MacKinnon scrive: «La pornografia, nella visione femminista, è una forma di sesso forzato, una pratica di politica sessuale e un’istituzione della disuguaglianza di genere». Come documentato da ampi studi empirici, scrive, «la pornografia contribuisce causalmente ad atteggiamenti e comportamenti di violenza e discriminazione che definiscono il trattamento e lo status di metà della popolazione».
In tempi più recenti, MacKinnon si è scagliata contro OnlyFans, facendo notare la significativa levata di scudi di certa stampa liberal a difesa della libera pornografia, quando la stessa piattaforma londinese annunciò che avrebbe bandito il «sessualmente esplicito» di propri contenuti. In quell’occasione, Bloomberg News scrisse: «OnlyFans è stato celebrato per aver offerto a intrattenitori adulti e prostitute un posto sicuro dove svolgere il proprio lavoro». Ancora più pungente fu, nella stessa occasione, il commento dell’American Civil Liberties Union: «Quando piattaforme tecnologiche come OnlyFans si considerano arbitri di discorsi e attività cibernetiche accettabili, stigmatizzano il lavoro sessuale, rendendo i lavoratori meno sicuri».
Tutt’altra l’impostazione di MacKinnon, che sostiene: «Al contrario, è l’industria del sesso che rende le donne insicure. Legittimare l’abuso sessuale come lavoro rende i siti di webcam come OnlyFans particolarmente seducenti per chi ha problemi economici». E rincara la dose: «OnlyFans è stato per la pornografia convenzionale ciò che lo spogliarello è stato per la prostituzione: un’attività di passaggio, esibizione sessuale con apparente isolamento dallo sfruttamento pelle a pelle, lavoro temporaneo per chi ha le spalle finanziarie contro il muro e poche o nessuna alternativa. Offre l’illusione della sicurezza e della negabilità sia per il produttore che per il consumatore».
Catharine MacKinnon guarda con simpatia al movimento #MeToo che, a suo avviso, «sta realizzando ciò che la legge sulle molestie sessuali fino ad oggi non ha fatto». La mobilitazione suscitata qualche anno orsono da #MeToo, a suo avviso stava «erodendo i due maggiori ostacoli alla fine delle molestie sessuali nella legge e nella vita: l’incredulità e la banalizzazione della disumanizzazione delle vittime». Secondo MacKinnon, l’idea che una sanzione penale possa frenare le tendenze sociali criminose è vera solo in certe fattispecie ma mai «per pratiche pervasive come le molestie sessuali, incluso lo stupro, che sono integrate nelle gerarchie sociali strutturali».
In definitiva, né più ne meno come Andrea Dworkin (il cui profilo è già stato approfondito su Pro Vita & Famiglia), Catharine MacKinnon – per nulla condivisibile nella maggior parte delle sue opinioni – rappresenta un ulteriore segno di contraddizione, quasi il classico granellino di sabbia in grado di inceppare gli oliati meccanismi della propaganda femminista. Di fronte ad una Chiara Ferragni che posa seminuda, facendo la morale (nel 2023…) contro una presunta mentalità bigotta, vi sono femministe della prima ora che remano in direzione ostinata e contraria. Se il filone di pensiero di Dworkin e MacKinnon avesse avuto un reale seguito e una più salda strutturazione (#MeToo è stato una vampata e null’altro, peraltro viziata da molte contraddizioni), a quest’ora il dibattito avrebbe preso tutt’altra piega. Viviamo, però, tempi difficili, in cui la libera discussione è soffocata dalla logica dell’algoritmo e dalla convinzione che qualunque cosa si possa comprare. Persino le idee.