Un bambino è una persona, non lo si può “commissionare” in base ai propri desideri. E non è il diritto di qualcuno, ma un soggetto di diritto. Siamo nel 2020, ci sentiamo all’avanguardia con i diritti e in prima linea nella lotta alle discriminazioni e permettiamo che una barbarie come l’utero in affitto, che mercifica un bambino e sfrutta il corpo di una donna, mettendone potenzialmente a rischio la salute, vada avanti indisturbata?
Lo scorso 21 luglio, Mara Carfagna, deputato di Forza Italia, ha depositato una proposta di legge che estenderebbe «la perseguibilità del reato di surrogazione di maternità, già previsto dalla legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita, anche a chi varca i confini», leggiamo in un articolo di Avvenire.
Non possiamo più chiudere gli occhi su questa pratica, dopo aver visto il video dei bambini “parcheggiati” in un hotel di Kiev, in attesa di essere ritirati dalle coppie acquirenti. Non possiamo più ignorare l’amara realtà dell’utero in affitto, di questi bambini strappati poco dopo la nascita da un ventre materno del cui contatto hanno ancora bisogno, di queste donne, spesso indigenti, che si prestano a questa pratica per riscattarsi dalla propria condizione di povertà e a cui viene distrutto quel legame che avevano inevitabilmente creato con il piccolo.
Carfagna ha, dunque, interrogato la presidenza del Consiglio e i ministeri degli Affari esteri, dell’Interno e della Giustizia circa l’opportunità di impedire agli italiani «il ricorso all’utero in affitto, inserendo la surrogazione di maternità fra i reati perseguibili fuori dai confini del Paese».
Le urla assordanti dei bambini “in attesa di ritiro” dopo l’utero in affitto, non ci lascino indifferenti, ma ci spingano a denunciare quanto sia disumana questa pratica.